Macron, il vero sconfitto nelle elezioni più pazze del mondo

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Macron, il vero sconfitto nelle elezioni più pazze del mondo

Macron, il vero sconfitto nelle elezioni più pazze del mondo

30 Giugno 2020

Con ogni probabilità queste elezioni municipali francesi passeranno alla storia. Non solo e non tanto per i risultati – a dir la verità abbastanza sorprendenti – quanto per le modalità con le quali si sono svolte. Il primo turno si è tenuto nel lontano 15 marzo a pandemia già iniziata ed è stato caratterizzato da un tasso di astensione superiore al 50 per cento. Si aprì allora una parentesi destinata a non chiudersi per oltre tre mesi e definitasi solo domenica scorsa, quando finalmente il secondo turno si è potuto svolgere. Tra le peculiarità di quest’ultima tornata vanno annoverati poi gli strumenti della campagna elettorale – in gran parte virtuali perché manifestazioni, comizi, riunioni erano interdetti – e tassi di astensionismo giunti a livello record (il 60% degli aventi diritto ha disertato le urne). Va considerata, infine, l’incidenza del temi sanitari che hanno pesato sulle scelte assai più degli argomenti di squisita competenza locale.

Elezioni stravaganti, dunque, ma sarebbe un errore ritenere che i risultati di domenica notte siano un frutto destinato a mai più maturare sull’albero della politica francese. A ben vedere essi arricchiscono di sfumature e colorazioni particolari un bozzetto i cui tratti si sarebbero potuti scorgere già prima della pandemia.

Il dato certamente più eclatante è la conquista da parte dei Verdi di alcune tra le più grandi città francesi: Lione, Marsiglia, Bordeaux, Strasburgo, Tours, Besançon. E questa tendenza a valorizzare i temi connessi alla qualità della vita è rafforzata dalla netta conferma alla testa dell’amministrazione della capitale di Anne Hidalgo: candidata socialista ma di obbedienza ecologista.

Qualche prodromo di questo exploit c’era stato già durante la pandemia. Non a caso, allora, si era precisata all’Assemblée Nationale la scissione che ha privato En Marche, il partito del Presidente Macron, della maggioranza assoluta; e ancor meno casualmente questa ulteriore defezione, raccogliendo parte degli ammutinati delle precedenti puntate, si è andata orientando proprio verso sensibilità ecologiste.

Un indizio preciso, dunque: il grande successo dei Verdi è il segno di una delusione evidente nei confronti del quinquennato di Macron e la ricerca di un’alternativa al populismo soft che a suo tempo il giovane Presidente seppe incarnare. Quel tipo di populismo moderato, insomma, resta l’opzione privilegiata per una fascia di elettorato appartenente al ceto medio, indisponibile verso una radicalizzazione della sua protesta, ma che oggi guarda in una direzione diversa dall’Eliseo.

I Verdi hanno vinto ma i socialisti non hanno perso. La riconquista di Parigi val bene una messa e anche a Lille Martine Aubry, infine, è riuscita a spuntarla. Si potrebbe affermare perciò che gli ingredienti per ricostruire una sinistra plurale vincente in vista delle prossime presidenziali ci siano tutti. La strada non è facile e non è detto che la si riesca a tracciare ma, quanto meno, s’intravede. E questa, in ogni caso, è una notizia.

A destra la situazione è più complessa da analizzare. I Repubblicani speravano di più da questo turno elettorale. Essi, storicamente avvantaggiati dall’elezione a due turni, hanno scoperto di esserne oggi penalizzati, schiacciati come sono da un canto dai “sovranisti” della Le Pen e dall’altro da En Marche, fin qui inflessibile nel tenersi fuori dalle dinamiche della quadriglia bipolare. Questa loro difficoltà è evidente soprattutto nei contesti urbani che sono anche quelli che balzano all’onore delle cronache. E questo ha fatto passare sotto silenzio l’affermazione non disprezzabile che hanno invece riportato nella Francia rurale e nelle città medie e piccole.

Per questo, in realtà, i Repubblicani hanno meno da dolersi dei “sovranisti”, anche se il loro leader Marine Le Pen ha salutato il risultato conseguito come “una vera grande vittoria”. Lo ha potuto fare grazie all’affermazione in una città di “serie A” come Perpignan e anche perché i comuni amministrati dalla estrema destra, rispetto al precedente turno elettorale, sono passati da 12 a 15. Un’analisi appena più approfondita, che consideri anche il numero di voti e di consiglieri comunali conseguiti, chiarirebbe però come assai più che di “grande vittoria” si sia trattato di una “modesta sconfitta”.

Il vero perdente di questo turno elettorale, però, è uno solo e si chiama Emmanuel Macron. Il suo partito ha raccolto risultati pessimi e, di conseguenza, il sogno di radicarlo come famiglia politica autonoma nel sistema partitico francese ne è uscito quanto meno acciaccato. Il suo Primo Ministro Edouard Philippe, invece, in controtendenza, ha riportato una schiacciante vittoria nella sua Le Havre: sembra quasi che gli elettori abbiano così scelto chi gettare dalla torre tra i due uomini che si trovano alla testa dello Stato.

Quel che però dovrebbe preoccupare di più il Presidente è che la sua strategia di tenersi completamente al riparo dalla dinamica destra/sinistra ha dato segni evidenti di fallimento. I suoi elettori provenienti dalla sinistra lo hanno abbandonato. Se vorrà salvare quel che gli resta e continuare a coltivare speranze di rielezione, dovrà cambiare la sua strategia e volgersi dall’altra parte.