Manifesto romantico, vivo ma cassintegrato

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Manifesto romantico, vivo ma cassintegrato

02 Dicembre 2011

Trenta febbraio: le rotative sferragliano per l’ultima volta. E per chi ci ha lavorato trent’anni, lì dentro, è il fallimento. Con l’ultima stampa si spegne il “Corriere di Condrò”, ma anche la speranza che il portamonete non suoni vuoto, e che una certa prospettiva di lavoro, un’idea di società, non vengano soffocate dall’“impossibilità di competere”.

Questa gazzetta muore perché un modesto imprenditore – tale per taglia e per fondi – è stato lasciato avvizzire; perché oggi con la monnezza e i fotovoltaici si prospera – ancor più se non si disdegnano le seduzioni del malaffare -, mentre con la carta e gli inchiostri non si fanno denari.  

Dicono che è un giorno che non c’è il 30 febbraio, ma per i custodi della rotativa del Corriere – loro malgrado – il calendario si è riadattato: il “tempo della fine” esiste solo per loro; impoverisce e umilia soltanto loro, nessun altro lavoratore di questo mondo “può finire” il 30 febbraio.

Chiude i battenti uno degli ultimi presìdi del romanticismo non astratto, il foglio del bar della piazza, del barbiere portavoce, del sindaco più innalzato o disprezzato della norma, come è regola nelle comunità di poche anime. Da sottolineare: il mondo piccolo non per forza è il “distretto del bene” rigidamente contrapposto alle metropoli luciferine; sarebbe banale e stupido pensare che mamma meschinità sgravi solo sui Navigli. E’ solo questione di probabilità: mafiosi a parte – che sono nascosti ovunque, nelle stamberghe che schiumano letame come negli attici con i cristalli sempre lucidi -, è più facile che un bancarottiere di talento non abbia fatto casa in un paese di 500 abitanti. 

Salvo Dipietra, 49 anni, è un siciliano romantico che non si piange addosso; senza il Corriere pare un uomo senza esofago, non solo privato del cuore, ma sa che la vita impone di reagire dopo aver ricevuto un calcio sotto la cintura. Per poco camperà di cassa integrazione, poi si ingegnerà con qualche lavoro di manutenzione in nero. Chi non fa la valigia e scappa non ha molte alternative da queste parti.

Salvo ha il pregio aureo di non portare mai rancore; chi lo conosce dai tempi del catechismo non ricorda un giorno in cui quel saluto inasprito dal messinese scabro non sia stato accompagnato da un sorriso sincero. Da manifestazioni di solarità che infondono la certezza di non essere mai parimenti cordiali. Lo fa perché è proprio così, non da ruffiano in cerca di elemosina. E non è un caso, allora, se Salvo è un sussidiato, non in qualità di ex dipendente della rotativa ma in quanto romantico lesionato. Ha amoreggiato con quella macchina come fosse la sua donna di ghisa; ha amato sua sorella Carmela sconsideratamente, tanto da essere ritenuto – da qualche tossico benpensante – un paraculo incestuoso. Ha amato, solo nella sua testa da nobile di pensiero, tante femmine di Condrò.

Molte gli hanno sempre riservato saluti gentili; qualcuna sorrisi irridenti; da nessuna ha mai ricevuto un bacio che accenda brividi, a sigillo di un sentimento profondo. Per questo è un romantico sussidiato, costretto a riscuotere in moneta ciò che una donna non gli ha mai reso in passione. E’ colpa della sua bruttezza: in effetti pare l’erede siculo, senza castello, della Bestia ignorata da una Bella distratta.

Fatelo santo laico quest’uomo: nonostante tutto il vissuto non l’ha indurito. Anche senza donna, senza Carmela, senza giornale di Condrò, il suo sorriso gode di salute di ferro. Dipietra è il suo cognome, non il suo cuore. E Salvo è la sua condizione perenne di refrattario alla malinconia.