Marchini e Parisi, voglia di vincere

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Marchini e Parisi, voglia di vincere

30 Aprile 2016

Secondo il sondaggio dell’Istituto Piepoli, realizzato a tempo di record dopo la notizia della rinuncia di Bertolaso e l’appoggio di Forza Italia a Marchini, a Roma la Raggi rimane in testa con il 27,5%, mentre Meloni e Marchini si battono per il secondo posto con il 20% circa, inseguiti da Giachetti al 19%. Tutto abbastanza stabile, tranne il “grande balzo in avanti” di Marchini, che beneficia in modo consistente della nuova situazione: non si limita, cioè, a sommare i voti di Bertolaso ai propri, ma riacquista quel profilo di unico possibile vincitore nel confronto con i grillini, che tutti i sondaggi iniziali gli attribuivano. Fin dal principio, infatti, gli esperti lo indicavano come il solo che aveva i requisiti per battere, all’eventuale ballottaggio, il candidato 5stelle. Paradossalmente, è questo il motivo per cui nell’area di centrodestra la sua candidatura ha incontrato tanta ostinata resistenza: Marchini poteva, e può, vincere, perciò era visto da alcuni come una potenziale minaccia.

Per chi, come la Meloni, si è sforzata di far crescere il proprio piccolo partito e ha coltivato da sempre l’orticello della destra romana, avere un competitor che poteva oscurarla era un rischio rilevante. E’, però, una logica miope: vincere a Roma avrebbe una valenza nazionale, fortemente antirenziana (checché ne dicano i centristi retrò, quelli che disperatamente cercano di interpretare la convergenza di FI su Marchini in chiave filogovernativa). Ma soprattutto è una logica vecchia, partitocentrica e destinata alla sconfitta. La Meloni dovrebbe fare tesoro dell’esperienza del vecchio Msi-Destra nazionale, che con Fini fu contrario al referendum sul maggioritario nel ’91. Fini temeva che il suo utile marginale del 5% sarebbe annegato nel sistema maggioritario. Quel referendum segnò invece una nuova stagione per lui e per la futura An, consentendo una crescita di cui beneficiò l’intero schieramento di centrodestra. Insomma, vincere in politica fa bene comunque, anche se non si occupa il ruolo da protagonista.

La logica dell’orticello non è solo asfittica, è anche obsoleta: nel mondo nuovo in cui viviamo non bastano una riverniciata populista, una leader accattivante e combattiva, un radicamento storico. E’ necessario un elemento di visibile discontinuità rispetto alla “vecchia politica” così come è ormai percepita dai cittadini. Lo slogan “liberi dai partiti” di Marchini non è “contro” i partiti, non è il vessillo dell’antipolitica, ma sottolinea la qualità civica della sua candidatura, la libertà di non fare patti poco trasparenti e di non essere nelle mani di una classe dirigente che ha dato troppo spesso cattiva prova di sé, in particolare nella capitale.

Per quanto possa apparire strano, per Stefano Parisi, a Milano, vale un discorso simile. Al contrario di quanto accade a Roma, su Parisi (che i sondaggi danno in continua crescita) converge un ampio schieramento alternativo alla sinistra, dalla Lega fino a Passera; ma questo schieramento non è ancora compatto, non rappresenta una proposta politica unitaria. Al suo interno c’è chi appoggia il governo a livello nazionale e chi è all’opposizione, con diverse sfumature e diverse culture politiche. Così, partiti e movimenti che sostengono Parisi restano un passo indietro rispetto al candidato, permettendogli di esprimere in modo più evidente quel “di più” di novità, di civismo, di competenza e credibilità che porta con sé.