Medvedev firma il nuovo Start ma a Mosca il clima resta da Guerra Fredda
10 Aprile 2010
Il nuovo trattato Start è stato firmato giovedì 8 aprile al Castello di Praga da Barack Obama e Dmitri Medvedev. Nel luglio del 1991 era stato firmato il primo Strategic Arms Reduction Treaty (trattato per la riduzione delle armi strategiche, il cui acronimo in inglese è Start: partenza) che fu l’ultimo atto della Guerra Fredda. Fu il risultato di un lento processo di decadenza dell’Unione Sovietica che, nel 1979, era la prima potenza militare nel mondo, in piena espansione in Asia, Africa e America Latina e appena dieci anni dopo ritirava tutte le sue truppe dall’Afghanistan e dall’Europa orientale, cessava tutti i suoi aiuti militari ai movimenti di guerriglia nel terzo mondo, tutti i suoi aiuti economici ai partiti e movimenti comunisti in tutto il pianeta.
Fino al 1985 l’Urss non volle accettare alcun compromesso con la Nato sulla riduzione degli armamenti. Due anni dopo, nel 1987, il trattato Inf segnò la fine della competizione nucleare in Europa: l’Urss era già al lumicino, il paese era travolto dalla crisi economica e Mikheil Gorbachev tentava di far sopravvivere il regime comunista proclamando la glasnost (trasparenza) e la perestrojka (ricostruzione) all’interno, la distensione con gli Usa all’estero. Quattro anni dopo, nel 1991 fu firmato lo Start. Cinque mesi dopo l’Urss sarebbe collassata definitivamente.
Il trattato Start2 è stato accettato da un soggetto molto diverso dall’Urss degli anni ’80. Infatti non ci troviamo di fronte a un impero comunista in piena decadenza, ma alla più potente delle repubbliche che ne sono uscite, la Federazione Russa, attraversata da pulsioni nazionaliste e dal desiderio di riottenere quel posto privilegiato di prima potenza militare mondiale che apparteneva all’Unione Sovietica.
Nell’ultimo decennio, la Russia ha seguito una politica revisionista dell’ordine mondiale scaturito dalla sconfitta sovietica nella Guerra Fredda. Il presidente (attuale premier) Vladimir Putin ha respinto l’idea di accettare la leadership americana. La dottrina militare russa, adottata nel 2000, rende esplicito questo concetto: “Nuove sfide agli interessi nazionali della Russia emergono nella sfera internazionale. C’è una tendenza crescente ad instaurare una struttura unipolare globale dominata economicamente e militarmente dagli Stati Uniti”.
L’obiettivo della Russia diventa pertanto quello di “consolidare un mondo multipolare”, mentre gli obiettivi di Russia e Usa “si escludono a vicenda”. Per questo motivo, dal 2000 ad oggi, il Cremlino ha cercato di creare strutture antagoniste alla Nato, sia con la Cina e altri Paesi dell’Asia centrale (come l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai), sia con Paesi esplicitamente nemici degli Stati Uniti, quali l’Iran e il Venezuela. E’ in funzione anti-americana che sono migliorati i rapporti fra Cina e Russia: negli anni ’90 pareva che i due paesi dovessero dar vita al più grande conflitto del XXI secolo, ora conducono esercitazioni militari in comune.
Con l’ascesa al potere del presidente Medvedev (un presidente che parla un linguaggio più liberale rispetto al predecessore), questa tendenza non è cambiata. Anzi, gli atti che si possono interpretare come i più ostili della politica estera di Mosca, quali la guerra in Georgia, la ripresa dei voli dei bombardieri strategici e le esercitazioni con il Venezuela nei Caraibi sotto il naso degli Stati Uniti (come ai tempi dell’Urss), sono stati compiuti proprio sotto la sua presidenza, iniziata nel maggio del 2008.
Lo scorso settembre, come ai tempi della Guerra Fredda, Russia e Bielorussia hanno condotto un’esercitazione in Europa orientale per prepararsi a combattere contro un nemico che altri non è che la Nato. Il casus belli simulato era la secessione della minoranza polacca (sempre più perseguitata dal regime di Minsk, nella realtà) dalla Bielorussia. I russi e i loro alleati post-sovietici si sono addestrati per combattere una guerra civile, poi per combatterne una contro l’Europa. In questo conflitto simulato era previsto l’uso di armi nucleari, di cui la nuova dottrina russa prevede e amplia le possibilità di utilizzo, proprio mentre Obama, con l’annuncio della sua nuova dottrina strategica, riduce l’uso degli armamenti atomici da parte degli Stati Uniti alla stretta esigenza di auto-difesa ed esclude dalla lista dei bersagli i Paesi non nucleari.
La nuova dottrina russa, anticipata da Nikolai Patrushev (segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale) lo scorso ottobre, autorizza il lancio di testate nucleari anche in caso di conflitti locali e regionali, sia come rappresaglia, sia preventivamente. La guerra può essere proclamata dalla Russia, sia per difesa del territorio nazionale, sia per “proteggere gli interessi dei cittadini russi all’estero, quando le loro vite siano in pericolo”.
Quello della protezione dei cittadini russi all’estero è un concetto molto arbitrario, che in un passato recente è stato interpretato in modo estremamente elastico: i cittadini russi in Estonia sono stati considerati “in pericolo” quando le autorità locali hanno deciso di spostare un monumento ai caduti della II Guerra Mondiale; i cittadini georgiani delle regioni separatiste Abkhazia e Ossezia sono stati considerati cittadini russi, quando si sono sentiti minacciare dal governo di Tbilisi. In pratica esiste un’infinità di casi in cui Mosca può giudicarsi minacciata e reagire (anche preventivamente) con l’uso della forza. E l’uso della forza prevede anche la forza nucleare, nel peggiore dei casi.
Questa è la diplomazia della Russia che ha firmato lo Start2. Ma la sua politica è sentita dalla popolazione? Secondo uno studio di Ariel Cohen e Helle Dale, della Heritage Foundation, l’antiamericanismo è la base della cultura politica russa. Ed è diffuso con tutti i mezzi. Per i più colti c’è il think tank “Istituto per la Democrazia e la Cooperazione”, la cui prima pubblicazione è il riassunto delle teorie cospirative sull’Occidente, reo di alimentare e foraggiare rivoluzioni e destabilizzazione nelle repubbliche ex sovietiche. Per il pubblico di massa ci sono serial televisivi come “Aliens”, in cui i personaggi americani sono tutti rigorosamente pedofili, corrotti, omosessuali (che per molti russi è un insulto) e infidi.
Sul fronte istituzionale c’è Putin che nel 2004, dopo il massacro compiuto dai terroristi islamici a Beslan, ha attribuito la responsabilità all’Occidente guidato dagli Usa (“Alcuni hanno voluto staccarci un pezzo succulento, mentre altri li hanno aiutati. Li hanno aiutati perché pensano che la Russia, in quanto maggiore potenza nucleare nel mondo, costituisca una minaccia per qualcuno”). E oggi come oggi c’è Patrushev, che all’indomani degli attentati nella metropolitana di Mosca, ha subito puntato il dito contro la Georgia e una possibile responsabilità della Nato alle sue spalle.
Il giorno della stipula dello Start2, insomma, gli americani hanno interpretato quella firma a Praga come “un passo avanti enorme verso la denuclearizzazione del mondo”, come ha scritto Hillary Clinton nel suo editoriale pubblicato sul quotidiano britannico The Guardian. Ma i russi l’avranno inteso nello stesso modo? Rispetteranno il trattato? Modificheranno la loro dottrina nucleare dopo la ratifica, o intenderanno l’eliminazione del 30% delle loro testate nucleari solo come un modo per liberarsi degli arsenali più obsoleti?
Lo Start2 serve soprattutto a dare un esempio morale ai Paesi che stanno per diventare potenze nucleari (Corea del Nord e Iran) affinché interrompano i loro programma militari e quelli che hanno da poco la bomba (India e Pakistan) affinché disarmino. Gli Usa stanno dando l’esempio in questo senso, soprattutto dopo l’annuncio della nuova dottrina nucleare. Ma si può dire altrettanto della Russia?