Meglio un capo del Governo puttaniere che una magistratura golpista
19 Gennaio 2011
Diciamo la verità se la campagna di sputtanamento in danno di Berlusconi fosse corrispondente al vero ci sarebbe da rimanere disgustati. Intendiamoci, è ben vero che ciascuno, anche il Presidente del Consiglio, ha un diritto inviolabile alla sua riservatezza. E’ ben vero che lo slogan il privato è politico è la traduzione sessantottina di una concezione politica totalitaria che sacrifica la libertà e l’autonomia dell’individuo sull’altare di un malinteso “primato della politica”. E’ ben vero che un uomo politico si giudica sulla base delle scelte politiche, delle posizioni politiche e delle iniziative politiche (di governo o di opposizione che siano). E’ ben vero tutto questo. Ma rimane il fatto che in un sistema democratico quando i vizi privati di un uomo politico diventano di pubblico dominio nasce un problema che inevitabilmente diventa politico. Si tratta di un fatto inevitabile perché nell’arena della politica le qualità personali ed i vizi privati dei protagonisti giocano un ruolo decisivo, spesso anche più importante rispetto alle qualità politiche ed alle virtù pubbliche.
Ma tutto ciò presuppone che l’ondata di fango contro Berlusconi sia fondata su fatti veri. Il che non è dimostrato ed anzi è negato con forza dal diretto interessato.
Ma non è questo il punto. Il fatto è che quandanche si appurasse, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il nostro Presidente del Consiglio è un "puttaniere" , noi ci sentiremmo di difenderlo perché l’attacco che punta a disarcionarlo rapresenta un vero e proprio golpe giudiziario. Il Rubygate rappresenta null’altro che l’ultimo capitolo dell’incredibile storia di aggressione giudiziaria che il premier subisce da 17 anni, ciò esattamente dal giorno dopo aver deciso di abbandonare il suo ruolo di imprenditore e di “scendere” in politica (ma forse visti gli attacchi subiti e gli ostacoli incontrati sarebbe meglio dire “salire” in politica).
Dal 1994 Berlusconi è stato imputato in 24 processi con i più vari capi di imputazione. Nello scorso autunno abbiamo assistito financo ad un presunto pentito di mafia – spalleggiato da un giovanotto figlio di un politico mafioso che gira per le televisioni del Paese per impartire lezioni di antimafia – che lo accusava di essere (non si capisce per quale oscura ragione) nientemeno che il mandante delle stragi mafiose del 1993. Le iniziative giudiziarie, provenienti in grande maggioranza dalla Procura della Repubblica di Milano, hanno però riguardato sempre ipotesi di reato commesse in qualità di imprenditore o di privato cittadino e mai in qualità di uomo di governo, di pubblico ufficiale. Il che è molto strano. La storia dell’umanità è piena, sin dall’antichità, di reati commessi da uomini di governo. Ma normalmente si tratta di fatti commessi da uomini politici che approfittano del potere pubblico loro conferito per conseguire utilità private (accrescere la propria ricchezza o il proprio potere). Il fatto che Silvio Berlusconi imprenditore fosse (giudiziariamente) immacolato e che una volta sceso in politica gli vengano contestate variegate ipotesi riferite al periodo in cui faceva l’imprenditore, tanto numerose da configurare Silvio Berlusconi come un criminale abituale, fa nascere più di un sospetto sulla strumentalità politica delle iniziative giudiziarie. Certo nella vicenda Ruby a Berlusconi viene contestato anche il reato di concussione (reato tipico dei pubblici funzionari). Ma i fatti sono di tale inconsistenza che quella della Procura milanese appare come una classica azione giudiziaria temeraria (buona per ottenere titoloni sui giornali ma destinata a sbriciolarsi in sede processuale).
Ma nell’ultima vicissitudine processuale di Berlusconi c’è un altro profilo che non convince. Dopo aver setacciato tutti i più remoti anfratti dell’attività del gruppo imprenditoriale di proprietà di Silvio Berlusconi (gruppo di enormi dimensioni), con centinaia di perquisizioni, sequestri di libri contabili, rogatorie internazionali per avere contezza dei movimenti bancari, ora i magistrati milanesi, visti anche gli scarsi risultati ottenuti, hanno deciso di scandagliare la vita privata del Premier. Ma c’è qualcosa che non torna. Che giornalisti, paparazzi o cercatori di scoop si mettano sulle tracce di un vip o di un uomo politico per scoprirne i vizi privati, le abitudini sessuali da dare in pasto al famelico pubblico di voyeur e pettegoli, fa parte del gioco. Non fa però parte del gioco il fatto che sia una Procura della Repubblica (ed una fra le più importanti d’Italia), grazie ai poteri coercitivi ed invasivi della libertà personale riconosciuti solo alla magistratura, con grande dispiegamento di uomini e risorse, con decine e decine di intercettazioni telefoniche, con decine di pedinamenti, con una capillare attività di identificazione delle persone ricevute nella dimora privata del Presidente del Consiglio, a mettere sotto la lente d’ingrandimento il Capo del Governo, cercando di costruire l’ipotesi accusatoria (del tutto marginale rispetto ai problemi di ordine pubblico e di legalità del Paese) di aver avuto un rapporto sessuale a pagamento con una ragazza di diciassette anni e sei mesi. Ora mettiamo pure un attimo da parte il fatto se il rapporto sessuale c’è stato, se Berlusconi ha pagato per la prestazione, se era consapevole della minore età della ragazza (che in realtà sono macigni che gravano sull’inchiesta), è normale tutto ciò? E’ un Paese normale quello in cui un pezzo del potere giudiziario si mobilita in massa scandagliando i risvolti più intimi della vita privata del Capo del Governo per incastrarlo su una faccenda morbosa e squallida ma che certo non genera alcun allarme sociale? La verità è che la Procura di Milano indaga su Silvio Berlusconi a prescindere, nella convinzione che, ingaga indaga, intercetta intercetta, pedina pedina, prima o poi troverà qualcosa per incastrarlo. E’ un po’ il metodo co il quale gli inquirenti americani riuscirono ad incastrare Al Capone. Ma vi è la piccola differenza che Al Capone era un notorio criminale Silvio Berlusconi un Capo di Governo eletto dai cittadini!
In altri tempi, in altri contesti,un fatto del genere avrebbero fatto gridare al complotto, al golpe. Oggi i cantori della legalità democratica salutano tutto ciò come atto di coraggio, di eroica difesa della trasparenza e della democrazia, come riscatto morale. Stiano però attenti perché una volta legittimato culturalmente il metodo dell’inquisizione e dello spionaggio giudiziario in danno del potere politico sarà poi difficile sradicarlo in futuro. Del resto, quando si predica la purezza e si pratica l’epurazione c’è sempre qualcuno che si crede più puro di te e ti epura!