Meglio un odiato musulmano che un esercito cristiano in terra islamica
03 Marzo 2011
Gheddafi ha trovato un grande alleato: l’incapacità dell’Onu e della comunità internazionale di prendere decisioni rapide e sagge. Da giorni, e ieri con più vigore, il Consiglio nazionale libico degli insorti nell’est della Libia, da Bengasi, chiede che venga istituita una no fly zone (che in Iraq impedì le stragi di curdi da parte di Saddam) e che vengano compiute azioni aeree Onu contro le truppe fedeli al dittatore. Ma non succede nulla, perché alla Casa Bianca non c’è più Bush (lo ha notato con sollievo lo stesso raìs) e Obama sostiene che gli Usa non agiscono da soli ma solo su mandato Onu.
Però l’Onu non ne parla nemmeno e Gheddafi può tentare tutte le sortite militari che vuole: l’altro ieri ha colpito Zawiya (strategica perché vi termina un oleodotto), Zenten e Misurata, ieri è partito all’assedio di Brega con più di 500 blindati e con lancio di missili da aerei e anche all’attacco a Bengasi; oggi è previsto un’azione in forze ad Adiabiya. Nei prossimi giorni, mentre Obama, e l’Onu stanno a guardare, sicuramente Gheddafi svilupperà ancora la sua controffensiva in cui può giocare il peso non secondario dell’aeronautica, che gli è rimasta fedele (è formata solo da membri della tribù Ghaddafa, la sua).
Non solo, Gheddafi si sta anche rafforzando sul piano politico, perché la Organizzazione del Consiglio Islamico che raduna tutti i 54 Paesi musulmani (che pesano molto all’Onu), come Cina, Turchia e Lega Araba, si sono pronunciati contro qualsiasi ipotesi di intervento militare straniero in Libia (la Lega Araba ammette solo un intervento dell’Organiz – zazione degli Stati Africani, che però ha dato pessima prova in Sudan). Non perché Gheddafi sia apprezzato da queste organizzazioni (anzi…), ma in omaggio all’imperativo della sharia più fondamentalista, che vieta che eserciti “cristiani” combat – tano contro musulmani sul territorio dell’Islam.
Con le spalle coperte, dall’ignavia Onu, dalle indecisioni di un più che spiazzato Obama (la Clinton ha detto che bisogna stare attenti all’inter – vento militare per "evitare una nuova Somalia") e dal veto dei Paesi islamici e arabi, Gheddafi può sviluppare senza problemi il suo “arrocco” (la mossa degli scacchi in cui re e torre si scambiano la casella e il re viene così protetto dalla torre, dal cavallo, dall’alfiere e dalle pedine). Padrone della capitale e di parte della Tripolitania, forte di un non disprezzabile sostegno popolare (nonostante la stupida retorica di al Jazeera, al Arabiya) Gheddafi ha così tempo per cercare di allargare il territorio controllato e poi per tentare di convincere i capi tribù – veri protagonisti della rivolta – che conviene tornare a essere suoi “clientes”.
Strategia basata sulla ferocia delle sue milizie, azzardata, ma che forse può portare risultati. È indubbio che l’isolamento politico internazionale di Tripoli sarà totale e che Onu e Ue riconosceranno solo il Consiglio nazionale libico di Bengasi, che ieri ha nominato suo leader l’ex ministro della Giustizia Mohamad Abdeljalil (personaggio ambiguo, che fino a 10 giorni fa era uno dei più fidati collaboratori e complici in varie infamie di Gheddafi). Ma è altrettanto indubbio che non basta l’isolamento internazionale per abbattere un dittatore spietato che ha mostrato di non essere della debole pasta di Ben Ali e Mubarak. Il Consiglio nazionale si è detto pronto «a muovere le sue forze verso Tripoli, se il rais non lascerà il potere»; uno scenario in cui l’intrinseca debolezza militare delle forze di cui il Consiglio può disporre (senza intervento militare Onu), rischia di produrre effetti controproducenti.
(tratto da Libero)