Meglio una postcomunista degli antisemiti alla guida dell’Unesco

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Meglio una postcomunista degli antisemiti alla guida dell’Unesco

24 Settembre 2009

La figlia dell’agit prop comunista l’ha spuntata sul pittore astratto antisemita. Detta così, dal punto di vista occidentale è effettivamente bizzarra, la vicenda del duello che ha visto l’egiziano Faruk Hosni sconfitto dalla bulgara Irina Bokova nella corsa per la direzione generale dell’Unesco.

Hosni, nato nella cosmopolita Alessandria nel 1938, dopo essere stato addetto culturale a Parigi e a Roma, e da noi anche direttore dell’Accademia Egiziana delle Arti, divenne ministro della Cultura dell’Egitto nel 1987. A quell’epoca l’Egitto era un alleato fondamentale di Washington nel grande confronto con l’Unione Sovietica della Guerra Fredda, di cui ancora nessuno immaginava che stava per concludersi in capo a un paio d’anni. E tutt’ora il governo del Cairo è un interlocutore essenziale dell’Occidente, anche se ora il nemico da fronteggiare non è più il comunismo, ma l’integralismo jihadista.

In quel 1987 Irina Bokova, nata a Sofia nel 1957, invece stava dall’altra parte del fronte. Rampollo della nomenclatura del Paese che era considerato il satellite modello del blocco dell’Est, suo padre era il caporedattore del giornale ufficiale del Partito Comunista Bulgaro, e lei stessa ha studiato all’Istituto delle relazioni Internazionali di Mosca. Già allora, però, qualche segno premonitore si percepisce. Hosni, in particolare, quando nel 1985 c’è il fattaccio dell’Achille Lauro approfitta del suo incarico per favorire la fuga dei terroristi palestinesi. La Bokova, invece, ha voluto aggiungere al suo curriculum la frequenza dell’Università del Maryland, in modo da poter poi iniziare a lavorare nel 1980 all’Onu con una conoscenza di prima mano e dell’inglese, e della società americana.

Nel 1989, quando il regime è costretto a democratizzarsi dalla rivolta popolare, Irina torna in patria, per lanciarsi in politica con l’ex-Partito Comunista, ora metamorfosatosi in Partito Socialista. Deputata dal 1990 al 1991, poi di nuovo negli Usa per studiare a Harvard e alla John Kennedy School of Government, candidata perdente alla vicepresidenza nel 1996, ministro degli Esteri tra 1996 e 1997, di nuovo deputato e vicepresidente della Commissione Esteri tra 2001 e 2005, nel 2005 il governo di unità nazionale tra gli ex-comunisti e il partito dell’ex-re Simeone la designa ambasciatore a Parigi e poi all’Unesco. Impegnata in prima linea nell’adesione della Bulgaria all’Unione Europea e alla Nato, sostanzialmente il suo è trasformismo. Ma, diciamo così, del tipo buono.

Hosni, invece, è del tipo trasformista verso il peggio. Nel 2006 suscita l’ira dei Fratelli Musulmani per aver criticato in un’interista il velo alle donne; nel 2007 il presidente Mubarak deve intervenire in modo pesante per risparmiargli una condanna, in seguito al non rispetto delle misure di sicurezza in un teatro che è andato a fuoco, procurando la morte di 46 persone. Per farsi perdonare non trova di meglio che solleticare i peggiori istinti antisemiti serpeggianti nell’opinione pubblica egiziana, col dire che impedirebbe in tutti i modi la presenza di libri israeliani in quella grande Biblioteca di Alessandria che lui ha voluto far ricostruire per emulare i fasti di quella antica. “Bruciamo questi libri, se ce ne sono, li brucerò io stesso davanti a voi”, dice.

Lui poi ha chiesto scusa, e anche Stati Uniti e Israele non hanno voluto calcare troppo la mano. Ma farlo direttore generale dell’Unesco era evidentemente troppo, e perfino un’assise come quella dei membri Onu non se l’è alla fine sentita.