Meno male che la Bce c’è!
30 Settembre 2011
Dopo l’ennesimo tormentone di fine estate ieri finalmente è stata resa pubblica la lettera indirizzata dal Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, in qualità di Presidenti (in carica ed in pectore) della Banca Centrale Europea, al Governo italiano. La cosa, ragionando sul piano dei principi generali, desta più di una perplessità. E’ la conferma di come nel nostro Paese ormai sia stata del tutto espulsa la categoria della riservatezza, secondo la quale è opportuno (in alcuni casi anche obbligatorio legalmente) che certi fatti rimangano riservati per ragioni di interesse generale. Dal dilagare delle intercettazioni, alle liste dei parlamentari gay in incognito, dalle serate del Presidente del Consiglio sino alla pubblicazione di una lettera riservata tra due fondamentali istituzioni su un tema delicatissimo è ormai inarrestabile l’onda voyeurista che, in nome di una malintesa trasparenza, rischia di far saltare il funzionamento dei meccanismi di base del nostro sistema.
Ma tant’è nessuno sembra essersene accorto ed il fatto che il principale quotidiano nazionale abbia pubblicato un documento tanto riservato quanto delicato è passato del tutto inosservato. Le proteste ci sono state, ma hanno semmai riguardato la presunta invasione di campo operata della BCE che indicando interventi di risanamento finanziario così puntuali avrebbe “commissariato l’Italia”.
Non abbiamo grandi simpatie per l’eurotecnocrazia ma francamente l’accusa ci sembra sbagliata dal punto di vista del metodo ed infondata dal punto di vista del merito. Sul piano del metodo, in realtà la BCE non ha commissariato alcunché. La BCE, di fronte alla nostra richiesta di un intervento massiccio di acquisto di titoli pubblici italiani al fine di bloccare la speculazione finanziaria e l’impennata dei tassi, ha semplicemente indicato alcune cose che ritiene necessario vengano fatte affinché l’intervento richiesto non determini perdite ingenti nel sistema monetario europeo e quindi per tutti i cittadini europei. Che la BCE si preoccupi del fatto che alcune delicate “scelte di portafoglio” non determinino una caduta dell’euro, non solo non è un’invasione ma è addirittura un suo preciso dovere, considerando che la mission istituzionale dell’Istituto è proprio la difesa della moneta.
Sul punto del resto occorre essere chiari. Che una banca centrale effettui massicci acquisti di titoli del debito pubblico è di per sé una cosa anomala e contraria ai buoni principi della finanza pubblica. Oggi non molti lo ricordano, ma correva l’anno 1981 quando grazie a Beneamino Andreatta si attuò il cosiddetto divorzio fra il Tesoro e la Banca d’Italia. Fino ad allora la nostra banca centrale era obbligata sottoscrivere i titoli di stato rimasti invenduti. Ciò consentiva di tenere artificiosamente bassi i tassi di interesse sui titoli pubblici, ma naturalmente incentivava la crescita del deficit pubblico e determinava un’immediata spinta inflazionistica. Quel divorzio ha rappresentato una delle pagine fondamentali nella lunga, faticosa ed incompleta storia del risanamento delle finanze pubbliche italiane. L’acquisto da parte di una banca centrale di titoli pubblici non può essere una forma ordinaria di gestione del debito. Può essere una misura straordinaria e (rigorosamente) temporanea per bloccare le bufere speculative di breve periodo. Ma perché la misura funzioni è evidentemente necessario che lo Stato riesca a convincere il mercato che sarà in grado di onorare i propri debiti a scadenza. Del resto tale condizione è nell’interesse non solo della BCE, diventata nel frattempo nostra creditrice, ma anche dell’Italia. Se non saremo in grado di raddrizzare l’albero storto della nostra finanza pubblica, non ci sarà BCE che tenga, il Bel Paese sarà destinato al fallimento.
Ma ancora più imbarazzante è la lettera sul piano delle valutazioni di merito. In realtà, a ben vedere le indicazioni formulate dalla BCE sono poco più che banalità. Cose sulle quali convengono quasi tutti gli osservatori: liberalizzazioni e riforma dei servizi pubblici locali (remember referendum?) riforma delle relazioni sindacali (remember articolo 8?), riforma del mercato del lavoro (remember articolo 18?), riforma delle pensioni (remember pensioni di anzianità e femminili?), riduzione del costo del pubblico impiego (remember blocco turn over e taglio stipendi?), controllo sull’indebitamento di regioni ed enti locali (remember derivati di regioni e comuni?), clausole di salvaguardia a garanzia dell’effettività della manovra adottata. Si tratta di un elenco così prevedibile che potrebbe essere stato ideato financo dalla Fondazione Italia Futura di Luca Cordero di Montezomolo!
Il fatto che è queste indicazioni, quasi banali, sono dannatamente complicate in Italia. Le consorterie e le corporazioni, i sindacati e la Confindustria, le sinistre ecologiste e i grillini, le leghe del Nord e quelle del Sud sono sempre lì pronte a difendere i propri orticelli ed a bloccare le riforme necessarie. Ed anzi ci viene spontanea una domanda. Quanti fra coloro che da mesi reclamano a gran voce le dimissioni di Berlusconi ed invocano un governo di salvezza nazionale sarebbero disponibili ad impegnarsi per sostenere un Governo di Responsabilità Nazionale che abbia per programma né più né meno che i punti sollevati dalla BCE? Che ne pensa, ad esempio, Bersani di una riforma che blocchi le pensioni di anzianità? O Vendola di una liberalizzazione dei servizi pubblici locali? O Di Pietro di una riforma del mercato del lavoro e dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori? O Casini di drastici tagli alla spesa per il pubblico impiego? Il Governo Berlusconi forse (ed anzi sicuramente) avrebbe potuto fare di più e di meglio. Ma certo quelli che vivono nella spasmodica attesa del suo crollo e nella speranza di prenderne il posto, certamente sarebbero capaci di fare (molto) peggio di lui.
Ed è per questo che anche gli euroscettici come noi sono oggi costretti a dire: meno male che c’è la BCE!