Mercato e democrazia faranno pace solo con l’innovazione

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Mercato e democrazia faranno pace solo con l’innovazione

08 Agosto 2011

Siamo di fronte ad una svolta storica, ad uno di quei passaggi di cui si parlerà per molti anni a venire. L’Europa e l’America stanno subendo un attacco violento proprio dall’istituto che loro stesse hanno creato e che ne ha garantito fino ad oggi crescita e prosperità: il mercato. Sono proprio i mercati che si rivoltano contro le incertezze, i debiti, i privilegi, le distonie, che si sono fatte costume della Politica nelle democrazie Occidentali.

E’ evidente che questa crisi va ben oltre l’ambito economico-finanziario, ma coinvolge in profondità anche le istituzioni democratiche e i principi liberali su cui sono fondate. Gli equilibri istituzionali, economici e politici che le democrazie Occidentali hanno raggiunto, non sono più in grado di garantire un modello sostenibile per le generazioni future. La sfida è, come sempre, nell’innovazione.

La creatività, le risorse, l’intelligenza e la determinazione sono gli ingredienti che ciascun paese dev’essere in grado di mettere in campo; d’altra parte, si sa, le crisi sono benefiche, perché aguzzano l’intelletto, costringono l’uomo a sfidare i suoi limiti, e lo rendono capace di superarli. In questi momenti la classe dirigente e gli intellettuali devono sopportare uno sforzo determinante. Devono saper alimentare l’opinione pubblica di idee nuove e cristalline, e saper scovare i punti di forza sui quali fare leva. E l’Italia?

Basta prendere il Corriere della sera di oggi per avere un quadro del dibattito politico nel nostro paese. Mario Monti in prima pagina, parla del Governo come di un “Governo sostanzialmente tecnico”, svuotato della sua autorità, proprio dalla sua stessa inettitudine. “Le forme son salve”, scrive, “i ministri restano in carica”, ma le principali decisioni sono state prese da “un Governo tecnico soprannazionale con sedi sparse a Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra e New York”. L’Italia è avvezza alla sindrome del “podestà forestiero”, scrive, è una tradizione che risale ai Comuni Italiani del XIII secolo, e non sarà certo questa crisi a farci diventare improvvisamente fieri e determinati.

Ernesto Galli della Loggia, invece, se la prende coll’Ente Radiotelevisivo Pubblico, la RAI, rea di non avere organizzato nemmeno una trasmissione, nemmeno un piccolo approfondimento, sulla crisi in atto. I “desolanti palinsesti estivi”, schiavi dell’auditel, sono la cartina tornasole di un paese che in fondo, ad Agosto, vuole leggere del calcio mercato sotto l’ombrellone e certo non si preoccupa degli spread dei titoli di stato. Per trovare un esempio di come dovrebbe essere un servizio pubblico nazionale bisogna tuffarci nel passato, in una Rai che non era ancora stata “sbranata dai partiti”, in una Rai “che non esiste più”.

E guai a chi, come ci dice Michele Ainis a pag 33, scarica la colpa di questa crisi economica sulla Costituzione. L’obbligo costituzionale di pareggio di bilancio, dice, nulla c’entra con la costituzione: “ in un normale paese, questa riforma non sarebbe necessaria”, “ perché l’equilibrio tra entrate e uscite dipende da una mentalità”, “quella del buon padre di famiglia” […] quella “che manca ai politici italiani”. Quindi la crisi diviene un tema secondario, no? Quello di cui davvero si vuole discutere è dell’inettitudine culturale di un paese, del governo più debole e inefficace del mondo, dell’informazione meno seria e aggiornata, della mentalità più viziata e fallace.

Si vuole discutere di quest’Italia, della sua classe dirigente incapace, mentre, fuori dai salotti, c’è un paese di famiglie, imprenditori, lavoratori e professionisti che le decisioni le prendono eccome, che spengono la televisione e vanno su internet per informarsi, e che, a fine mese, fanno tornare i conti.