Merkel: bottegaia perfetta, ma politica senza prospettive

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Merkel: bottegaia perfetta, ma politica senza prospettive

27 Ottobre 2017

Merkel: bottegaia perfetta, ma politica senza prospettive. “For years, German Chancellor Angela Merkel brushed off accusations that the party has left its right flank exposed. She did so again after September’s election— when her conservative alliance lost close to 10 percentage points and handed the far-right Alternative for Germany (AfD) a ticket to the national parliament. The election’s biggest winners were parties that offered a more attractive conservative profile — the German Liberals (FDP), with their promises of a rightward swing on economic policy, and the AfD with its focus on preserving German identity. Sebastian Kurz’s election win in Vienna on Sunday hammered that point home”. Timo Lochocki su Politico del 22 ottobre, spiega come le elezioni austriache concludano un ciclo di spostamento a destra che ha toccato anche la Germania sia col voto per Alternative für Deutschland sia per i liberali. La Merkel avrà difficoltà a perseguire la sua politica di attenzione solo al “centro” e tutto ciò peserà in modo decisivo sui destini dell’Europa, perché se si spostano a destra Vienna, Praga o Amsterdam è un conto, se succede a Berlino, tutto viene messo in movimento. Una intelligente osservatrice di cose europee come Lucrezia Reichlin accenna, sul Corriere della Sera del 22 ottobre, al fatto di come sia fallita la parte centrale del Trattato di Maastricht e del varo dell’ “euro” ricordando che “l’obiettivo – da parte di Mitterrand – era quello di europeizzare la Germania”. Ora invece si è sostanzialmente germanizzata l’Europa (con ruota di scorta francese). Dopo questa acuta osservazione, però, la capace economista è in grado di dare solo consigli tecnici sul come rimediare alla crisi strategica di fondo. Ma si può sopravvivere senza un’anima?

Tutti i titoli di Xi. “Xi Jinping of China as so many titles – more than a dozen and counting – that has benne called ‘chairman of everythingt’” Javier C. Hernandez sul New York Times del 25 ottobre racconta come Xi abbia così tanti titoli (presidente, segretario, responsabile della commissione militare e così via) che lo chiamano il “presidente di qualsiasi cosa”. Non mancano neanche i titoli per Donald Trump: Cialtrone in capo, Bullo in capo, Raccomandato in capo per il Vietnam e così via. La superiorità infinita della democrazia americana (che spinge a stare piuttosto con il dileggiato Trump che con il padrone del Pcc) rispetto al socialismo pechinese, è che se uno per sms chiama il nuovo inquilino della Casa Bianca ciambella riscaldata non si becca due anni di prigione come è successo al cinese che ha aggiunto questo agli altri titoli di Xi. 

A lavorare troppo a Treviso c’è il rischio di esagerare col prosecco. E i locali lo reggono. Toscani no. “Non a caso Milano è la prima città d’Italia per intellighenzia, e non a caso Milano è una città piena di immigrati; veneti, napoletani, siciliani, neri, africani. Milano è fatta così, è civile. Mentre i contadini là, che non parlano neanche italiano, cosa vuoi che votino” così dice Oliviero Toscani a Radio Padova 24 del 24 ottobre. Carina questa idea che il razzismo verso i contadini non sia razzista, completa bene l’ignoranza di chi dimentica come il contado sia stata la forza di Venezia più o meno dopo il Cinquecento (precedentemente era potenza essenzialmente marinara) e sempre, invece, quella di Milano: come sa chi non sia completamente ubriaco o integralmente ignorante, la capitale lombarda non è Londra che con i suoi quasi nove milioni è una città stato mentre la città di Ambrogio con poco più di un milione di abitanti ha trovato storicamente la sua forza nella rete di rapporti con Monza, Varese, Lodi, Sondrio, Como e così via. La riuscita del referendum veneto e quello lombardo hanno preso alla sprovvista chi vive essenzialmente di banalità, da qui diverse reazioni insensate come quella del facitore di slogan per Benetton. Buon piazzamento nella graduatoria del cazzaro del giorno anche quello di Marco Vitale che sulla Repubblica del 23 ottobre dice che “La vera battaglia sarebbe dare più forza alle Città metropolitane”. L’Italia ha fatto una legge del piffero su codeste Città metropolitane, varandone quasi più che tutto il resto dell’Europa messa insieme, senza una qualche analisi delle competenze da attribuire, con confini improvvisati e in contrasto con la realtà storica, come quella evocata milanese. La Città metropolitana milanese tra l’altro ha accumulato un tale deficit da suggerire a Giuliano Pisapia di non ricandidarsi a sindaco. Per leggere qualcosa di ragionevole sull’onda neoregionalista tocca rivolgersi a un qualche straniero tipo Marc Lazar che spiega sulla Repubblica del 24 ottobre come si sia passati dall’autonomismo delle aree povere a quello delle aree ricche perché “i regionalismi di oggi esprimono un malessere democratico”.

Che cosa scatena il peggio di noi? La discussione sul sistema elettorale. “I segretari di partito – tutti, compreso il M5S – potranno scegliere i candidati e quindi blindare i futuri gruppi parlamentari”. Claudio Tito sulla Repubblica del 25 ottobre: ma come si fa a dire una cosa così? Come si fa a dire che il cosiddetto Rosatellum “blinda i futuri gruppi parlamentari” quando con una legge che assegnava un ben più largo potere di selezione centralizzato (la legge Calderoli) dei candidati, oltre un terzo dei parlamentari ha cambiato gruppo? Che senso ha parlare di nomine delle segretarie, quando “il candidato centrale” sarà per lo più di coalizione e dovrà avere il prestigio necessario per vincere il collegio, e tra quelli connessi, poi, ci saranno candidati di diversi partiti (da 2 a 4 per ogni formazione) selezionati dal voto degli elettori? In generale come si fa a parlare di “eletti nominati” quando qualsiasi gruppo di cittadini può presentare la sua lista e correre per essere eletto? Il Rosatellum naturalmente può non piacere (e a me non piace, preferirei collegi uninominali che dessero maggiore forza di indicazione degli elettori) ma è un compromesso non proprio indecente, trovato da un Parlamento allo sbando che ha soprattutto bisogno di essere sciolto. Peraltro quando leggo in una nota del Financial Times del 24 ottobre che, raccontando delle difficili trattative per il nuovo governo di Berlino, spiega come “The pro-business policies of the FDP collide with big government istincts of the Greens” (le politiche pro business dei liberali tedeschi collidono con quelle istintivamente a favore del big government dei Verdi), da una parte tremo in quanto (sia pur tiepido) europeista perché come scrive sul Corriere della Sera sempre del 25 ottobre Danilo Taino “la Merkel ha già fatto sapere che ogni cambiamento in Europa lo dovrà concordare con i futuri nuovi partner di governo”, dall’altra mi chiedo se così vanno le cose nella potenza arrogantemente egemone del Continente che cosa mai sarebbe avvenuto nella scassata Italia se avessimo adottato il già tanto lodato Tedeschellum?