Messina: storie spezzate e tanta voglia di ricominciare

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Messina: storie spezzate e tanta voglia di ricominciare

08 Ottobre 2009

“Ho perso tutto, non mi è rimasto nemmeno un fazzoletto da naso”. La signora Teresa è una delle tante sfollate, senza più né una casa né quanto possedeva. Quel poco che le consentiva di condurre una vita semplice, ma dignitosa. Le sue parole, i suoi stati d’animo, la pausa delle parole e lo smarrimento degli occhi, sono gli stessi degli altri 728 ricoverati in 8 alberghi a Nord e Sud di Messina, dopo la terribile alluvione che ha colpito quasi una settimana fa il comprensorio Ionico, provocando 28 morti e 7 dispersi (da considerare ormai deceduti).

Il bilancio più verosimile è di 35 vittime, con ingenti danni che potranno essere quantificati non prima della fine di ottobre. I funerali si svolgeranno sabato mattina nel Duomo di Messina, alla presenza del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, di quello del Senato, Renato Schifani, e molto probabilmente del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Nel Consiglio dei Ministri di venerdì sarà indetto il lutto nazionale e bandiere a mezz’asta in tutta Italia.

I vivi, ormai per tutti, i miracolati di Briga, Giampilieri, Altolia, Molino e Scaletta Zanclea, coscienti di aver visto la morte con gli occhi e di essere nati due volte, privilegiati rispetto a tanti compaesani morti e dispersi, nella desolazione, ritrovano lentamente una profonda voglia di ricominciare. Alcuni di loro sperano persino di poter tornare quanto prima nelle loro case, quelle che sono rimaste in piedi e per le quali saranno necessarie le verifiche di agibilità. Bisogna iniziare una nuova vita anche per quelle vite che non ci sono più, a cominciare dai 3 angeli, la piccola Ilaria 5 anni, ritrovata ieri sera intorno alle 21.30 in via Puntale a Giampilieri, e i fratellini Lorenzo e Francesco per i quali i soccorritori lavorano senza tregua nel tentativo di estrarli da sotto le macerie. Senza dimenticare l’eroe, Simone Neri, il sottocapo di prima classe della Marina Militare di Messina, che ha perso la vita dopo aver salvato otto persone sempre a Giampilieri.

Non sarà facile la ricostruzione, ne sono coscienti sia il governo che la Regione. E lo sa bene anche quell’anziano che domenica scorsa ha stretto forte la mano a Berlusconi e, seduto sulla sua sedia a rotelle, non si è staccato dal premier finché quest’ultimo non lo ha rassicurato che avrà di nuovo una casa. Piccole storie, drammi o lieti fine che fanno parte di una tranquillità rotta in pochi attimi.

Maria Ardì è una ragazza dagli occhi chiari, stringe il braccio del marito, il fratello delle vittime, fuori dall’obitorio, dopo aver concluso il triste rito del riconoscimento delle salme di suo cognato, Onofrio Sturiale, mentre dell’altro suo cognato non si sa più nulla. “Onofrio aveva 26 anni. Lui ed il fratello Alessandro, la sera fra l’1 e il 2 ottobre, si trovavano sul loro furgone, ancora in tuta da lavoro, facevano i meccanici – racconta Maria, accanto la suocera in un dolore composto nonostante la sofferenza per la scomparsa di due figli – tornavano da Nizza di Sicilia. Erano diretti a casa ma in serata hanno chiamato la famiglia, avvisando i parenti che ritardavano a cena, perché pioveva troppo e preferivano fermarsi per strada, in attesa di un miglioramento. Poi più nulla: non una risposta alle tante chiamate ai cellulari dei due fratelli”. A casa c’erano Maria, il marito e la madre. Hanno chiamato le Forze dell’Ordine ma loro non avevano nessuna notizia dei due uomini. Decidono a questo punto di cercarli da soli. Alle 5 del mattino del 2 ottobre trovano il loro furgone, schiacciato sotto il fango. Dentro c’è il corpo di Onofrio, ormai senza vita, con indosso ancora la tuta blu. Di Alessandro non c’è traccia, si continua a cercare nel fango che si indurisce.

Da una storia di morte a ritorni alla vita, appesi al filo del tempo, spesso orchestrati dal gioco folle della casualità. “Se fossi arrivato a Scaletta Zanclea due minuti prima del previsto, probabilmente non sarei qui a testimoniare la mia disavventura. Mi sento doppiamente fortunato, sia per la benevola fatalità del tempo, sia perché tra tante persone che purtroppo hanno perso la vita, la mia è una vicenda a lieto fine”.

Non ha dubbi il preside della facoltà di Ingegneria dell’Università di Messina, il prof. Signorino Galvagno, che ricorda la notte dell’alluvione killer con la vitalità di chi sa bene di essere nato nuovamente. “Mi stavo recando a Catania in auto – inizia a raccontare – percorrevo l’autostrada A 18, quando allo svincolo di Tremestieri ci hanno fatto deviare sulla SS.114: erano le 18,30, non immaginavo nulla di grave, pensavo di riprendere l’autostrada al casello di Roccalumera. Attraverso Giampilieri, e lì avverto che la pioggia aumenta consistentemente. É fitta, violenta, colpisce rumorosamente il parabrezza della mia auto e i tergicristalli a fatica riescono a crearmi uno spazio di visuale per poter continuare a guidare”.

Galvagno si ferma un attimo, sospira poi riprende: “Si è trattato di minuti, qualche istante dopo sono costretto a incolonnarmi sulla vecchia nazionale, a circa due minuti dall’ingresso nel centro di Scaletta Zanclea: un intero costone è franato, la sua carambola è finita contro un furgone che si è ribaltato, finendo sulla linea ferroviaria che passa lungo la stessa direttrice della strada, provocando una strozzatura in entrambe le direzioni. “Siamo rimasti bloccati tra la frana e, appunto, il furgone, dice il docente”.

Galvagno precisa anche: “Non c’era nessun mezzo delle forze dell’ordine o di soccorso in quel tratto, nemmeno i Vigili Urbani; d’altra parte con la strada completamente bloccata era impossibile per chiunque arrivare”. “Rassegnato, continua il docente, ho spento il motore e ho aspettato in auto fino alle prime luci dell’alba. Sono rimasto lì dalle 19. L’ora non la dimenticherò più: mancavano 2 minuti, 120 secondi, che hanno fatto ritardare il mio ingresso a Scaletta, mi trovavo a ridosso del paese. Se mi fossi trovato già dentro, nel centro del comune devastato – fa capire Galvagno – di certo non avrei avuto scampo”.

“Tutta la drammaticità di quelle ore – prosegue il preside di Ingegneria – l’ho percepita solo al mattino, quando ci hanno detto che l’unico modo per uscire da quella trappola era lasciare le auto e proseguire lungo la spiaggia. Mi sono incamminato a piedi sull’arenile e sono arrivato a quello che non era più Scaletta; ai miei occhi si apre il disastro: c’erano tre o quattro metri di fango che invadevano tutto, arrivavano all’altezza delle insegne dei negozi, le auto accatastate, rovesciate o dentro le ‘sabbie mobili’, e poi la palazzina, ormai tristemente famosa, completamente sventrata. Insomma non ci voleva un tecnico, Galvagno insegna nel dipartimento di Chimica Industriale e Ingegneria dei materiali, per comprendere che non c’era più nulla da fare”.

Superato l’imbuto della morte, sempre a piedi, lungo la riva, il prof. Galvagno scorge i gommoni della Protezione civile. “Mi sono fermato e ho visto persone”, quei pochi miracolati “che si affannavano per salire sui gommoni, portandosi dietro solo i vestiti che avevano addosso”. Con quei gommoni i superstiti sono stati trasportati, via mare, fino al porto di Messina”. “Io però – precisa il professore dell’Università di Messina – ho preferito non prendere posto su quei mezzi, magari ho lasciato spazio ad altri che non avevano modo diverso di lasciare quell’inferno. Ho proseguito ancora per un po’ lungo la spiaggia, fino ad Itala, e poi lì ho avvertito degli amici che mi sono venuti a prendere”.

Tra i 196 sfollati ospitati in un villaggio turistico sulla litoranea Nord di Messina incontriamo, invece, Mariagrazia D’Urso, 34 anni, di Giampilieri Superiore. La sua casa non è crollata ma è inagibile: "Siamo arrivati qui alle 3 del mattino di venerdì, la sistemazione nel residence è buona – dice – ma nell’affanno di scappare da quell’inferno non abbiamo preso i caricabatterie per i cellulari, quindi non siamo raggiungibili dai parenti. Non abbiamo con noi nemmeno i documenti, ci sentiamo nessuno” , conclude la ragazza che non riesce a nascondere il forte shock provocato dall’esperienza. “Non sappiamo cosa sarà di noi – ha detto ancora – e se quando torneremo la nostra casa sarà ancora lì”.

Vicino al punto di raccolta dei vestiti, uno dei tanti nella gara di solidarietà apertasi in città, ci imbattiamo in Emilio Guadagni, pensionato di 72 anni, di Lentini in provincia di Siracusa, che la sera di giovedì si trovava a Giampilieri perché era andato a trovare sua figlia, che vive lì. Il signor Guadagni era al bar quando ha cominciato a piovere forte, erano le 19 e 45 circa. “Tutti sono scappati – racconta – e non sapevo dove ripararmi, sono riuscito a raggiungere casa di un amico. Mia moglie e mia figlia non mi hanno trovato a casa, mio figlio verso mezzanotte è venuto a cercarmi, per fortuna mi hanno trovato”. “Sono state 5 ore di acqua mai viste. Dopo il nubifragio di due anni fa – ha aggiunto il signor Guadagni – l’unico intervento fatto è stato la costruzione di una gabbia di metallo per arginare la collina, gabbia che è caduta subito. La colpa è di chi non ha fatto i lavori prima e si muove solo adesso. Sono stati spesi pochi soldi e male”.

Da Nord a Sud. Altro hotel, altre testimonianze. C’è Alberto Curatolo, 82 anni, capostazione in pensione della Stazione ferroviaria di Giampilieri Marina e poeta indomito, senza quiescenza: “Scriverò una poesia anche su questa vicenda, ma avverto che sarò molto sarcastico”, confida con un sorriso vivo che illumina la sua faccia arzilla. Poi precisa, “noi siamo stati fortunati, i danni sono stati minori rispetto ad altre parti. Abitiamo in un complesso di 12 palazzine dove vivono solo ex ferrovieri”.

Quindi, inizia il suo racconto: “Quella sera pioveva intensamente, io ero vicino ad una finestra, ad un certo punto un rumore assordante e pochi istanti dopo vedo parte della collina cadere, portarsi dietro alberi, piante, ringhiere e tutto questo ‘materiale’ posarsi a ridosso della mia finestra, le case non sono state toccate, adesso però ci troviamo qui perché ci hanno detto di abbandonarle, ma speriamo presto di riavere l’agibilità e poter tornare nelle nostre abitazioni”. “Sa – sorride di nuovo – due giorni fa è venuto il sindaco (di Messina, Giuseppe Buzzanca, ndt.) era insieme al ministro Prestigiacomo”. Sospira, si ferma un attimo, poi bofonchia: “Che bella signora, e io mi sono avvicinato per dirgli: ma signor sindaco ora che parte della collina è caduto nel cortile di mia proprietà, non è che mi fate pagare la fondiaria?”. E a proposito di pagare Calogero Rizzo, un altro ospite della struttura alberghiera, si chiede se le auto saranno risarcite dal Comune.

Nelle strutture che ospitano gli sfollati, per quanto la situazione è d’emergenza si cerca di organizzare tutto al meglio. Grande merito va al lavoro faticoso dei volontari, uomini e donne che non si sottraggono a nulla. “Noi assistiamo, fin ora, 128 persone – ci spiega Antonio Celona, vicepresidente della cooperativa ‘Faro 85’ – ci sono anche 27 bambini e un neonato nato appena 10 giorni fa. Abbiamo personale specializzato, psicologici, anche uno specializzato in psicologia clinica. È stato utile questo, non nascondo quando abbiamo avuto persone giunte qui in preda a forti crisi psicologiche”.

Una signora alza il bastone che la aiuta a gesticolare. Ha appreso che nel pomeriggio in quell’albergo ci sarà la visita del presidente del Senato, Renato Schifani. La figlia glielo ricorda e lei, “chi Schifani, bene quello è siciliano come noi speriamo faccia qualcosa”. Il presidente Schifani giunge nel primo pomeriggio, si intrattiene con le persone, ognuno gli chiede qualcosa, tutti hanno tanta voglia di casa. Lui li rassicura: “Il presidente Berlusconi ha preso un impegno di fronte al gruppo di giornalisti che lo attende. E lo manterrà, state tranquilli, come in Abruzzo”. E sui gradini dell’hotel, una bimba di 4 anni, Maria Chiara, ha imparato a dire a tutti i nuovi che arrivano con le mani piene di buste, borsoni, valigie con quel poco che hanno potuto raccogliere, “buongiorno e benvenuti”.