Metamorfosi grilline: dalle cinque stelle alle cinque balle
11 Aprile 2018
Dalle cinque stelle alle cinque balle. “’Io non voglio fare il Presidente del consiglio dei ministri per non cambiare nulla, se si va al governo ne deve valere la pena. Io voglio cambiare tutto’, così Luigi Di Maio dal Molise dove è immerso nella campagna elettorale del candidato presidente del M5S Andrea Greco”. Stefania Piras sul Messaggero dell’11 Aprile riporta le parole del leader parlamentare dei grillini. Le proposte politiche pentastellate cambiano quasi di ora in ora: 1) un contratto consapevole ed europeista; 2) un asse per il rinnovamento con i leghisti; 3) una base d’intesa con il Pd per ricostruire la sinistra; 4) un diritto di chi ha preso più voti; 5) un governo se ne vale la pena. I grillini hanno preso molti voti facendo vedere più o meno 5 stelle ai loro elettori (reddito di cittadinanza, riacquisire sovranità nazionale, giustizialismo-lotta anticasta, lotta antisviluppo-decrescita felice, recupero dei diritti lesi dai governi Monti e Renzi), ora sono finiti nella rete dell’autoesaltazione di un politico che appare assai inesperto, nonostante i consigli di Davide Casaleggio (che però si è visto anche con Virginia Raggi non è in grado di fare miracoli), e ogni giorno si inventano una nuova formula. L’Italia non ha tempo per i teatrini, si tratta di verificare se c’è una possibilità di fare un governo magari anche solo di media durata (fino alle europee) oppure è utile anche ai Cinquestelle studiare i modi di un’intesa con la sinistra disposta ad allearsi con loro e tornare (si potrebbe restaurare il Mattarellum) a un voto che dia un governo solido o comunque imponga un compromesso abbastanza disperato ma legittimato dalle non scelte dei cittadini (una sorta di governo spagnolo: il primo arrivato governa con l’astensione del secondo). In questi mesi abbiamo visto abbastanza stelle ora vorremmo che ci fossero risparmiate troppe balle.
Anche Netanyahu che protesta con i sistemi di influenza poco trasparenti di Soros, è un antisemita? “Prime Minister Benjamin Netanyahu accused the radical New Israel Fund (NIF) of working through European states to persuade Rwanda to refuse a deal whereby the African nation would take in illegal African migrants deported from Israel”. Aaron Klein sul sito Breibart del 4 Aprile riporta una presa di posizione di Netanyahu contro un fondo israeliano promosso da George Soros che è intervenuto presso diversi ambienti europei spingendoli a convincere il Rwanda a non accogliere i profughi clandestini che Gerusalemme voleva trasferire. Soros da tempo svolge un’attività di lobbying finanziariamente potente per sostenere i suoi obiettivi politici, che talvolta inelegantemente si combinano con sue operazioni speculative. Finché non infrange specifiche leggi, questa attività è un suo diritto. Che non sarebbe male venisse, però, esercitato nella massima trasparenza. Naturalmente è un diritto anche contrastare le sue scelte. E credo che dopo la presa di posizione di Netanyahu sarà più difficile sostenere che questo diritto a “contrastare” Soros sia un’espressione di antisemitismo.
Il pensiero di Cacciari è spesso illuminante, però talvolta ha qualche ombretta di troppo. “Persone come Gianni Cuperlo, Andrea Orlando o in precedenza Fabrizio Barca avrebbero le capacità, ma non sono mai riusciti a emergere con nettezza”. Massimo Cacciari, intervistato da Lorenzo Giarrelli su Il Fatto quotidiano del 6 Aprile, dice molte cose interessanti e convincenti sul Pd, però poi indica come possibili protagonisti di una riscossa alcuni politici tra il decadente e il decaduto come Gianni Cuperlo, Andrea Orlando, per non parlare di Fabrizio Barca. E’ un po’ il dramma dei veneziani (quorum ego?): la laguna, le grandi distese di acqua danno loro una visione di grande prospettiva, poi si passa per una calle, un campiello, si entra in un’osteria e un’ombretta offusca le precedenti meravigliose visioni.
Perché da un’amaca non si capisce bene che cosa è una rivoluzione dall’alto. “La sconfitta delle élites repubblicane, spazzate via dalla plebe sanfedista, stroncò sul nascere ogni germe di modernizzazione del nostro Mezzogiorno”. Non sono del tutto convinto che Michele Serra, che così scrive sull’inserto Venerdì della Repubblica del 6 Aprile, sappia di che cosa parla. Se si riferisce alla parentesi repubblicana del 1799 (sulla sua scia verrà poi, nel 1806, il regno di Gioacchino Murat) guidata dal fior fiore della prestigiosa intellettualità napoletana, è utile ricordarsi come questa fu fondata sulle baionette di Napoleone, e fu un esempio tipico di quella che si definisce una rivoluzione dall’ “alto”, un grande sommovimento con idee anche nobili e generose ma senza un adeguato sostegno del popolo (sull’esame di queste caratteristiche – tra la distrazione di alcuni giornalisti dell’Unità poi passati a Repubblica- poggiò prima con Antonio Gramsci e poi dopo il 1945 con un’ampia riflessione collettiva tutta l’impostazione della questione meridionale da parte del Pci). Oggi, peraltro, va osservato come quel che non riuscì al grande Napoleone, difficilmente potrà realizzarsi sotto l’influenza di quel Napoleone, il piccolissimo, che è Emmanuel Macron.