“Midnight in Paris” è solo la riproposizione di un vecchio Woody Allen
04 Dicembre 2011
Roman Polanski ha spostato in “Carnage” Parigi negli Stati Uniti. Woody Allen in “Midnight in Paris” compie il percorso opposto: sposta l’America sulle rive della Senna. Il più americano dei registi europei e il più europeo dei registi americani, nonostante l’apparente capovolgimento, si tengono comunque alla larga dall’America. Polanski per ragioni giudiziarie; Allen per incompatibilità produttive.
Il primo, polacco quando in Polonia c’era il comunismo a limitare la rappresentazione artistica, ha trovato nell’America la terra della libertà. Il secondo, dopo un’entusiasmante carriera in patria, prima di comico e poi di maestro celebrato del cinema d’autore, è entrato in rotta di collisione con la produzione per problemi di redditività dei suoi film, e ha trovato un seconda giovinezza in Europa. Per Woody Allen negli ultimi anni è stato un susseguirsi di puntate europee, difficili da tenere a memoria. Naturalmente l’amata Parigi. E poi la splendida, livida e ipermoderna Londra. La solare e gaudente Barcellona. Un passaggio anche a Roma (set del suo prossimo film). Infine, per chiudere, la magica Venezia.
Insomma, per farla breve, e dire le cose come stanno, gli europei hanno finanziato un autore americano che gli americani non volevano più finanziare. O che volevano finanziare solo in parte. L’ultima fatica di Woody Allen, “Midnight in Paris”, è il tentativo di riportare in vita un corpo comico straordinario che ormai non esiste più. Quello di Woody Allen dei tempi migliori. Il film si apre come “Manhattan” (1979). Un omaggio visivo alla bellezza della città (in quel caso era New York, ora la Ville Lumière). Poi entra in scena il sosia che Allen si è scelto per trasfigurare se stesso giovane, Gil. Gil (Owen Wilson) è uno sceneggiatore di successo che in realtà vuole fare lo scrittore. Ad Hollywood adorano (e pagano profumatamente) i suoi copioni. Ma vuoi mettere l’arte della scrittura? E dove si può scrivere un vero, grande romanzo americano? A Parigi, naturalmente. Eh, facile Parigi. Quale Parigi? L’odierna del Centre Pompidou e della piramide di vetro al Louvre? O la Parigi di Hemingway e Gertrude Stein, Cole Porter e Francis Scott Fitzgerald? Intanto restiamo alla Parigi di oggi, nella quale sbarca Gil, americano a Parigi felice come un bambino, desideroso di bagnarsi sotto la pioggia. Lo sceneggiatore insoddisfatto ha una fidanzata bellissima, che sta per sposare.
La ragazza non solo è bella, ma ricca e sofisticata. Suo padre è carico di soldi. Infatti i futuri sposi trascorrono la vacanza nel lusso a cinque stelle gentilmente offerto dai genitori di lei. La coppia, a vederla, appare perfettamente assortita. Lui veste e si muove come un intellettuale. Lei come la ragazza viziata, tutto shopping e poca cultura. Quindi perfetti, poiché gli opposti si attirano. Ma di mezzo c’è Parigi. Lì Gil si sente a casa, e con il trascorrere delle ore inizia a considerare il soggiorno non una fuggevole vacanza, ma l’occasione della vita. Perché non restare lì e trovare finalmente la giusta ispirazione per concludere il romanzo che lo tormenta? Per riuscirci ci vuole una svolta. E, puntualmente, arriva. Come nelle favole, al rintoccare della mezzanotte, in strada si materializza una vecchia automobile. Entriamo così nella porta magica.
La macchina del tempo sposta indietro le lancette della storia. Siamo nella Ville Lumière degli anni Venti. Ecco Picasso e le sue donne (raffigurate contorte nelle sue tele). Ecco Salvador Dalí ossessionato dai rinoceronti. Ecco Hemingway che parla come Hemingway. Ecco Scott Fitzgerald che lascia l’amata andare via sottobraccio ad un torero, e un attimo dopo la insegue roso dalla gelosia. Gil voleva la “festa mobile”? Eccola servita. Al termine della notte tutto torna come prima. Gil si trova di nuovo alle prese con una fidanzata che ama sempre di meno; un suocero repubblicano che lo considera un trotzkista; una suocera che lo accusa di non avere gusto e soprattutto di non voler spendere. Nel frattempo ci sono anche alcune brevi apparizioni della “prima dama” di Francia, Carla Bruni Sarkozy, e un ulteriore salto indietro nella Parigi del Moulin Rouge, fra le ballerine di French Can-Can.
Poi, come nelle favole a lieto fine, tutto si ricompone. Nel senso che Gil molla suite, fidanzata, suoceri miliardari, sicurezze hollywoodiane, e resta a Parigi. Solo? Non esageriamo. Trova per caso l’anima gemella e, finalmente, camminano senza ombrello sotto la pioggia.
Morale di “Midnight in Paris? Meglio vivere nel presente, pur difficile, che sognare un passato impossibile. Un po’ poco? Forse. Il film è garbato, elegante, a tratti divertente. Un paio di volte esilarante. A molti ha ricordato un’altra opera di Woody Allen, “La rosa purpurea del Cairo”. Appunto, è un vecchio Woody Allen. E non c’è altro da aggiungere.