Milano e i limiti politici della gestione Moratti
28 Luglio 2008
Da destra a sinistra, da Libero alla Repubblica e, con qualche imbarazzo, al Corriere della Sera, le considerazioni sull’assetto messo insieme per la gestione dell’Expo milanese del 2015, sono univoche: un peso eccessivo di Roma e un sistema di comando farraginoso. Un commissario per le opere dell’area expo, il presidente della Regione responsabile del tavolo sulle infrastrutture, forse Roberto Castelli, a sovrintendere il comitato (con dieci rappresentanti del governo su sedici membri) che sorveglierà e guiderà il cosiddetto amministratore unico Paolo Glisenti.
Per definire la governance della grande manifestazione che si terrà tra sette anni, si camminava sulle uova e dunque il compromesso – affidato poi a un uomo, che di sofisticate mediazioni è specialista, come Gianni Letta – non poteva che essere complesso. Non è male che le due personalità forti dell’operazione, Letizia Moratti e Roberto Formigoni, abbiano preso bene le indicazioni del governo: oltre che la forma delle istituzioni conta molto lo spirito con cui le si vive, e se c’è ottimismo, si possono rimediare anche i difetti dei meccanismi decisionali.
Tutto bene. Comunque non è male riflettere su alcuni limiti che ha dimostrato il sindaco Moratti in questa vicenda. Il regno morattiano su Milano dura ormai da più di due anni e ci si può quindi fare un’idea delle sue doti e dei suoi difetti. Senza dubbio il sindaco è donna intelligente e coraggiosa, e quando ha le idee chiare (sicurezza, ecopass, acquisizione dell’expo) dimostra una capacità di perseguire gli obiettivi degna di una personalità di razza. Quando, però, emerge un qualche problema che richiederebbe iniziativa politica, non di rado inciampa. Così i rapporti con Formigoni e Giulio Tremonti, tutti tenuti sul filo delle relazioni personali senza cercare una dialettica meno unilaterale.
Così anche altre questioni della sua gestione amministrativa. Tra queste per esempio la politica della cultura a Milano che è questione decisiva in una metropoli come quella lombarda. Prima si sceglie come assessore un uomo di grande cultura e intelligenza come Vittorio Sgarbi ma palesemente inadatto per ruoli di amministrazione. Poi invece di nominare un nuovo assessore, si combina un comitato, dove oltre a uomini di valore (da Davide Rampello a Francesco Micheli), qualche amico, vi sono anche due operatori del settore (Andrea Shammah e Massimo Vitta Zelman) in qualche modo in eccessivo conflitto d’interesse.
Altro tema che getta un’ombra sulla gestione morattiana è quello della cosiddetta “città metropolitana” sposato con particolare solerzia dal sindaco. La questione è delicata e ha dietro una lunga storia. Milano ha la fortuna di avere intorno a sé una cerchia di comuni che autogestiscono situazioni sociali spesso difficili (da Rozzano a Cinisello Balsamo a tante altre municipalità). Potere contare su municipi che danno parola e speranze a settori sociali popolari esenta Palazzo Marino dal caricarsi di questioni di complessa soluzione.
Altre grandi città metropolitane continentali, come Parigi, hanno scelto di integrare le periferie nel loro sistema amministrativo urbano. Anche da qui nascono quei fenomeni di rivolta delle banlieue a cui si è assistito solo poco tempo fa. Storia, cultura della amministrazione, analisi dei problemi concreti sembrano un po’ assenti dalle ultime prese di posizione morattiane sulla città metropolitana: in questo senso le sue tesi appaiono in qualche caso un po’ troppo attente solo ai risultati immediati che si possono ottenere dalla stampa (ed è questo un vizio spesso presente nei comportamenti del sindaco).
Si dirà: in fin dei conti la Moratti segue il modello impolitico berlusconiano. Ma non è così. Con tutti i limiti che può avere Forza Italia, questo è un grande movimento ricco di culture diverse che man mano hanno stemperato la centralità delle esperienze aziendali. Anche per gestire la prossima fase dell’Expo, la Moratti avrebbe bisogno di formarsi in questo senso una mentalità e magari una squadra più politiche.