Missili russi a Cuba puntati sugli Usa? Soltanto voci, per ora

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Missili russi a Cuba puntati sugli Usa? Soltanto voci, per ora

25 Luglio 2008

È vero che dopo aver chiuso nel 2000 la sua ultima base cubana di Lourdes, la Russia ora sta per mandare bombardieri strategici nell’isola, in rappresaglia per il dispiegamento di dello scudi antimissili Usa in Polonia e Repubblica Ceca? “Sono voci, ma non voglio dire che sono voci infondate”, ha detto lunedì scorso un anonimo “alto funzionario” dello Stato Maggiore dell’Aviazione Strategica di Mosca in un’intervista alla Izvestia. Lo stesso giorno l’agenzia Interfax ha chiarito che potrebbe non trattarsi necessariamente di una permanenza fissa, ma di semplici scali di rifornimento durante voli di pattuglia sull’Atlantico, che anzi si sarebbero già verificati. In particolare, tanto il lanciamissili con capacità nucleari Tupolev-160 che il bombardiere Tupolev-95MS hanno già l’autonomia per raggiungere il territorio di Cuba, “e il farlo o no dipende solo da una scelta politica”, dice Izvestia, che è notoriamente vicina al Cremlino.

Nell’uno o nell’altro caso, “se lo facessero, dovremmo risponder loro con fermezza che per gli Stati Uniti si tratta di un qualcosa che oltrepassa un certo limite, una linea rossa”, ha subito risposto il nuovo capo di Stato Maggiore dell’aviazione militare Usa, generale Norton Schwartz. “Il miglior consiglio militare che possiamo dargli è di non provarci neanche”. E in capo a tre giorni il ministro russo della Difesa, Ilchat Baichurin, ha smentito tutto, parlando di “disinformazione”. “La Russia porta avanti una politica pacifica e non crea basi militari alle frontiere di altri Paesi”, ha spiegato. E anche il capo della difesa antimissili Usa, tenente generale Henry Obering, considera una simile minaccia “non realista”. Ma per il generale Piotr Deinekin, ex-responsabile della forza aerea russa, “se pure così facesse la Russia non farebbe niente di censurabile, perché nessuno ha chiesto il suo parere sull’installazione di basi aeree in Paesi vicini”. E il generale Victor Yesin, ex Capo di Stato Maggiore delle Truppe Missilistiche Strategiche russe nonché Vicepresidente dell’Accademia dei Problemi di Sicurezza, Difesa e Ordine Legale, ha a sua volta affermato che “per controbattere i piani di Washington nell’Europa dell’Est” Mosca potrebbe prendere “misure tecniche e militari” tipo “la creazione di missili balistici orbitali capaci di raggiungere il territorio degli Stati Uniti attraverso il Polo Sud, aggirando in questo modo le basi nord-americane di difesa anti-missili”. Oppure lo spiegamento di missili Iskander e la realizzazione di una base di bombardieri strategici nella provincia di Kaliningrad, enclave incuneata in territorio dell’Unione Europea, tra Lituania e Polonia.

Meri scenari, per il momento. Anche se inquietanti come non mai. E all’Avana sembra che le voci provenienti da Mosca non siano state particolarmente gradite da Raúl Castro. “Cuba non è nemica del popolo degli Stati Uniti e preferirebbe normalizzare le relazioni economiche e militari”, ha detto il vice-ministro degli Esteri cubano Dagoberto Rodríguez. Non è invece ipotesi ma dato acclarato che il venezuelano Chávez nella sua ultima visita a Mosca ha comprato armamenti per 2 miliardi di dollari. In particolare, nella lista della spesa stanno 20 sistemi antiaerei TOR-M1, tre sottomarini diesel elettrici classe Varshavianka, sei di classe Amur, dieci navi di superficie di vario tipo, 20 aerei da ricognizione Il114, 10 elicotteri Mi-28N, aerei da combattimento Ikyushin e carri armati. Acquisti che si aggiungono ai 5 miliardi di dollari in armi che lo stesso Venezuela bolivariano ha già fatto in Russia e in Cina tra 2005 e 2007, con l’arrivo di 24 cacciabombardieri Sukhoi-30MK2, 60 eliccotteri e 100.000 Kalashnikov. Una corsa agli armamenti che, unita alla retorica di Chávez, ha già indotto gli Usa a ricostituire quella Quarta Flotta dei Caraibi già smobilitata nel 1950, anche se ufficialmente è diretta contro il narcotraffico. Anch’esso, peraltro, esploso dal momento in cui la Dea è stata espulsa dal Venezuela. 

Recentissimo è pure un rapporto del Congresso Usa che stima in 33 miliardi i dollari che il regime bolivariano avrebbe speso per finanziare i governi alleati di Argentina, Bolivia, Ecuador e Nicaragua, oltre che per mandare aiuti a gruppi armati come le Farc, l’Eta, Hamas e Hezbollah. Senza contare la minaccia “chiara e immediata” costituita “dagli ampi e sempre maggiori legami con la Repubblica Islamica dell’Iran”. “Se iniziano ostilità tra Stati Uniti e/o Israele e Iran, gli iraniani hanno ora la capacità diretta, o attraverso i loro alleati, di danneggiare seriamente gli interessi degli Stati Uniti nello stesso continente, come il Canale di Panama”. 

Il fatto che a novembre si voti e sia in testa quel Barack Obama da molti indicato come “il nuovo Kennedy” dà a tutto ciò un sottofondo particolare. Ricordiamolo: il Kennedy vero, si era appena insediato che dovette affrontare a catena quella crisi della Baia dei Porci e quell’altra dei missili a Cuba, che portarono davvero il mondo a un passo dall’olocausto nucleare.