Montezemolo e Fini puntano al potere sfruttando le rendite del passato

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Montezemolo e Fini puntano al potere sfruttando le rendite del passato

19 Aprile 2010

L’essenza del montezemolismo, secondo noi esperti di lucofobia, è il cercare di usare un potere le cui ragioni storiche, basi sociali e funzioni generali si sono essiccate, per conquistarsi un qualche spazio, per sfruttare le posizioni di rendita che derivano da un passato ormai passato, e man mano allargarsi verso nuove posizioni di forza personale: una tendenza che, nella misura italiana, si esercita, nei nostri tempi, solo nelle società dell’Est europeo con i loro ex esponenti dei sistemi comunisti (con in prima fila quelli che provengono dai servizi segreti) che acquisiscono ai vari livelli spazi consistenti di peso ora politico ora economico.

Se si tiene conto di queste coordinate è difficile trovare un’operazione più completamente "montezzemoleggiante" di quella che sta cercando di mettere in pratica oggi (e vedremo domani come andrà a finire se per caso rientrerà) Gianfranco Fini: sul suo quotidiano di riferimento, il Secolo d’Italia, si vantano le radici che derivano dal Msi ma queste sono state (e – non si può non dire – opportunamente) rescisse. Le antiche basi sociali sono evanescenti e al Nord sono state graziosamente regalate alla Lega di Umberto Bossi. Si stenta a individuare, come hanno impietosamente notato Ernesto Galli della Loggia e Angelo Panebianco sul Corriere della Sera ma anche lo stesso Eugenio Scalfari su La Repubblica, "la funzione" se non genericamente di politically correctness che Fini vuole esercitare nella politica nazionale. Insomma, il suo appare il caso esemplare di una nomenclatura assimilabile a quella della Fiat prima della miracolosa cura di Sergio Marchionne, che riuscì a "combinare" la base per quel disastro del governo Prodi e a dominare Confindustria per una stagione.

Sbaglierebbe chi, partendo da queste considerazioni, sottovalutasse i danni che il finismo può combinare al centrodestra e all’Italia: il caso del vulcano islandese dimostra come eventi limitatissimi per dimensioni possano provocare effetti parzialmente catastrofici molto generalizzati e ciò, avviene anche nella storia umana, non solo nella natura. Però è bene avere anche un’idea della portata del fenomeno politico in discussione: un’ondata – in sé ristretta – che viene dal passato, non un movimento ampio che prepara il futuro. Certo in un’Italia con tanti ambienti chiusi e autoreferenziali che hanno dominato la fine del secolo scorso, l’abbondanza di nomenclature politiche, finanziarie, giornalistiche, in toga e industriali che affollano la scena pubblica, le manovre finiane sono di per sé un ostacolo poderoso a dialettiche di rinnovamento.

Anche se poi dalla Cgil a Magistratura democratica, da Sergio Chiamparino a Giovanni Bazoli, i segnali che vengono da tanti settori della società civile, puntano decisamente a una conciliazione della nazione piuttosto che a nuove guerre di nomenclature. E il primo ad accorgersi di questo nuovo clima sembra essere il più titolato esponente del montezemolismo, Luca Cordero in persona, che pare – a leggere le dichiarazioni dell’ultima ora – più propenso a rifugiarsi sotto le ali della Lega che a gettarsi in una battaglia contro i mulini a vento guidata dall’attuale presidente della Camera.