Montezemolo perde potere giorno dopo giorno così si butta in politica
05 Aprile 2011
Forzando duramente la mia natura, proverò a prendere sul serio l’annuncio di Luca Cordero di Montezemolo di pensare a entrare in politica in vista delle prossime elezioni. La reazione immediata sarebbe quella di considerare questa mossa come il suo solito tentativo per “monetizzare” su altri fronti che prescindano dalla politica. Così mi era parso di dover leggere le diverse tattiche messe in campo nei mesi scorsi, compreso un avvicinamento al governo (con l’accettazione di un ruolo nel comitato per le Olimpiadi a Roma poi stoppato da Giulio Tremonti).
Mi era sembrato di cogliere in molte delle sue iniziative assunte nel 2010, solo la volontà di non essere sostituito alla presidenza della Ferrari: risultato raggiunto almeno fino al 2013. Oggi mi pare che la partita che più interessa Montezemolo sia quella di Ntv, dove deve superare gli ostacoli che gli pone Mauro Moretti amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, e più in generale le ostilità tremontiane ad aprire spazi italiani a iniziative imprenditoriali francesi (di cui l’ex presidente di Fiat è sostanzialmente il portavoce) senza reciprocità.
Partire essenzialmente da una lettura dei suoi obiettivi più immediati, mi è sembrato sempre il modo migliore per interpretare i movimentismi di una persona dalla grande abilità nel comunicare ma priva di spessore strategico nei ruoli di manager di volta in volta assunta e ancor più in quelli politici, e costretta dal suo stesso regime di vita a cercare attività molto remunerative.
Però al di là dei suoi obiettivi contingenti, va constatato come vi sia un certo affanno nel gruppo lobbistico-amicale che accompagna il presidente della Ferrari. In Fiat non ha più spazio: non solo non c’è feeling con Sergio Marchionne ma anche John Elkan non lo considera più particolarmente utile. Del vecchio peso che gli dava il legame con il Lingotto, resta -oltre la presidenza a scadenza in Maranello – una qualche influenza sulla Stampa e un antico legame con Antonello Perticone in Rcs che spinge un Ferruccio de Bortoli non particolarmente amico a dargli una qualche visibilità sul Corriere della Sera.
Intanto però la “caduta” di Gianni Riotta al Sole 24 ore è stato un disastro per i montezemoliani a partire dal “cervello” di Italiafutura (la fondazione del nostro) Andrea Romano. Roberto Napoletano, il nuovo direttore, ha ben presente che fu essenzialmente il lavorio dell’ex presidente di Confindustria a impedire il suo arrivo al Sole tre anni fa e quindi non lo ama. Utilizza ancora anche per editoriali un filomontezemoliano (però con una sua personalità assai autonoma) come Stefano Folli ma per il resto c’è poco spazio.
Anche in Confindustria il tentativo di lanciare un vecchio amico come Aurelio Regina è fallito. L’imprenditore romano ha fatto un po’ di sondaggi su una sua corsa nel post Marcegaglia, ma appare in difficoltà. Anche perché il principale “montezemoliano” romano, cioè Luigi Abete, non sembra godere una grande salute né politica (non sa bene come collocarsi) né come banchiere (il matrimonio tra Bnl abetiana e Bnp Paribas non è stato quello che si chiama un successo).
L’unico dell’antico “circolo” (ma in sé più solido, come “denari” e come carattere, del presidente della Ferrari) che è ancora all’offensiva è Diego Della Valle, impegnato oggi nei giochi di potere connessi a Generali. A dir la verità Della Valle era partito in una battaglia contro l’asse Giovanni Bazoli – de Bortoli, contando su una qualche simpatia di Corrado Passera, sulla gratitudine di Marchionne (messo sulla graticola nel Corriere da Massimo Mucchetti) e sull’idea di aprirsi uno spazio sparigliando le carte.
Poi l’industriale marchigiano si è accorto che Bazoli era un avversario troppo duro per le sue forze e si è diretto contro Cesare Geronzi, approfittando delle difficoltà che colpivano il sistema di alleanze del banchiere romano (dai sommovimenti tunisini che destabilizzavano – almeno per una prima fase – Tarak Ben Ammar al congelamento del fondo libico in Unicredit fino alle difficoltà di Salvatore Ligresti). Non si sa come finirà la guerra triestina ma è comunque una battaglia che Della Valle conduce per conto di soggetti che sono completamente autonomi da lui e che, anche se le cose gli andranno bene, poco gli porteranno (a lui e ai circoli montezemoliani) se non qualche omaggino di riconoscenza.
Insomma il rischio che una lobby centrale per alcuni anni nel sistema dei media e in quello confindustriale, e di converso in politica, conti assai poco (quasi niente) nel giro di qualche mese, è molto forte. In questo senso il “gruppo di amici” ha tentato varie manovre non solo “al centro” ma anche con il centrodestra: il segno più appariscente in questo senso è la candidatura del “montezemoliano” Giovanni Lettieri come candidato sindaco di Napoli per il Pdl. Però senza qualche coupe de theatre, è fortissimo il rischio che si determini un rompete le righe della vecchia consorteria.
Proprio questa situazione per certi versi senza prospettive può spingere Montezemolo a qualche mossa avventurosa, persino cercare una liaison con quel morto-che-cammina di Gianfranco Fini o addirittura mettersi a seguire i consigli di un’altra anima in pena per prossimo completo tramonto di visibilità come Massimo Cacciari. Sono convinto che nel cuore di Montezemolo ci sia sempre l’auspicio che alla fine qualcuno gli offra qualche cosa per evitargli la disgrazia (connessa a più di qualche danno anche “economico”) di scendere in politica. Ma la vita talvolta -anche per anime lievi come il re di Maranello – è dura.
Può succedere che tocchi assumere impegni complicati, addirittura faticosi, persino (almeno a breve termine) poco remunerativi. Che sia necessario scendere in politica per disperazione.