Moody’s ci mette in discussione perché ha paura delle vittorie della sinistra

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Moody’s ci mette in discussione perché ha paura delle vittorie della sinistra

21 Giugno 2011

L’agenzia di rating Moody’s non ha messo sotto osservazione solo la finanza del governo italiano per il debito pubblico, per un possibile ribasso della valutazione che è Aa2, ma anche un complesso di regioni, province, comuni e imprese pubbliche. Dunque Moody’s è andato molto più in là delle sfere delle entrate e spese del bilancio dello Stato e degli altri livelli di governo, mettendo in discussione l’economia italiana nel suo complesso.

Le regioni coinvolte nella messa sotto osservazione sono: Basilicata, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto. Le province sono: le autonome Trento e Bolzano, Arezzo, Bologna, Firenze, Genova, Milano e Torino. I comuni sono: Bologna, Milano, Siena e Venezia. A essere interessate alla revisione sono anche la Cassa del Trentino e Finlombarda. Per le grandi imprese pubbliche si va da Eni ad Enel, a Terna, a Poste Italiane a Finmeccanica, in sostanza il Gotha dell’economia pubblica italiana. 

E’ un segnale di allarme che non può essere sottovalutato. Ciò anche se si vuole e si può sostenere in modo plausibile che le agenzie di rating degli Stati Uniti non sono imparziali, poiché collegate a grandi gruppi finanziari dell’area del dollaro che hanno interessi contrapposti a quelli dell’area dell’euro. La guerra, comunque, è guerra e bisogna prenderne atto provvedendo di conseguenza. Dunque, su questa vicenda, cerchiamo di vederci chiaro. Moody’s ha sostenuto che la nostra finanza pubblica potrebbe peggiorare in relazione a tre elementi di criticità: la bassa crescita, il rinvio o accantonamento delle riforme economiche e l’instabilità politica del governo e quindi le manovre di taglio del deficit da esso previste. Appare evidente che le ragioni che spingono Moody’s a questo giudizio preoccupato stanno negli esiti delle elezioni amministrative e dei referendum che hanno decretato la vittoria della sinistra populista di Pisapia e di De Magistris e di tutto il fronte della stampa anti-berlusconiana.

Il "si" nei referendum contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali serviva infatti a mantenere il potere delle lobbies politico-finanziarie annidate nei gruppi d’interesse degli enti locali. Così come quello sul nucleare ha decretato la vittoria degli ecologisti contro le grandi opere che incidono sul territorio. Dunque, Moody’s ha ragione di ritenere che il vento spinga contro le privatizzazioni, le liberalizzazioni e tutte le grandi opere che possono mettere in moto la nostra economia di mercato. I recenti risultati elettorali hanno dimostrato che l’Italia, sia nelle sue componenti di sinistra ancora nostalgica del comunismo, sia quelle ex comuniste diventate socialdemocratiche e in quelle cattoliche di sinistra, opta a stragrande maggioranza per un dirigismo cauto. In breve, non mira a un’economia di mercato competitiva pro crescita e non vuole grandi opere che ristrutturino radicalmente il territorio modernizzandolo. Un atteggiamento sponsorizzato, fra l’altro, da Confindustria e stampa collegata alle grandi banche.

Tutto per abbattere Berlusconi. Ma gli osservatori esterni di Moody’s e più modestamente chi scrive non credono affatto che, una volta abbattuto il “Caimano” (operazione  che altro non è che la replica ideologica della caccia al “Cinghialone”) sarà possibile radunare diligentemente i cocci e stabilire che “verrà un altro giorno” in cui ci si dedica, tramite demiurghi bene intenzionati, a governare l’azienda Italia in modo illuminato. Con la caduta del centrodestra, si aprirebbe un periodo di grave vuoto politico. Dopo Berlusconi, l’alternativa sarebbe estremamente incerta, col rischio di un improbabile accozzaglia di moderati, giustizialisti, sindacalisti puri e duri della Cgil e sinistra estremista.

In questa situazione quale altro giudizio potrebbero dare le agenzie di rating? Non solo Moody’s, ma anche le casalinghe si preoccuperebbero: l’odore di imposta patrimoniale e di raddoppio dell’imposta secca sulle rendite finanziarie (oltre al rischio che i capitali abbandonino il Paese) sarebbe troppo forte. La virtuosa osservanza della regola del pareggio del bilancio nel 2014 non avrebbe più alcuna rilevanza. Tutte le crisi debitorie emerse in Europa hanno avuto, come innesco, una crisi politica, cioè una carenza di governo o un governo non credibile. L’Italia, in un anno, ora, mette sul mercato, per il rinnovo, circa 255 miliardi di debito, sui 1900 circa totali, e con i titoli per il nuovo deficit si arriva a 300 miliardi. Ci rendiamo conto del rischio che stiamo correndo? I politici politicanti e i giornalisti politici hanno cercato di sottovalutare la rilevanza del giudizio di Moody’s sul nostro debito pubblico argomentando che l’agenzia di rating ha preso abbagli garantendo per buoni prodotti finanziari derivati che si sono rivelati quasi spazzatura e ora è sotto inchiesta.

La verità è che senza una alternativa credibile a Berlusconi non solo correrebbero grossi rischi le nostre finanze pubbliche, ma si determinerebbero grossi problemi anche per le grandi imprese pubbliche che sono state sostenute sugli scenari internazionali dalla politica estera berlusconiana. L’Eni ha una posizione privilegiata in Russia che, in buona parte, trae la sua forza attuale dai rapporti che Berlusconi ha intessuto con Putin. L’Enel si è giovata sia delle aperture in Russia che di quelle in Francia della politica berlusconiaia e ora ha preso una sonora sberla in faccia con il referendum antinucleare. Terna, che Moody’s ha messo sotto osservazione assieme ad Eni ed Enel, è una creatura della stessa Enel. E quanto a Finmeccanica, negli USA ha un rapporto molto costruttivo con il Pentagono (il maggior acquirente del mondo di tecnologie militari) a causa della linea atlantica di Berlusconi. Rimane il degrado potenziale di Moody’s a Poste Italiane, che è dovuto alle sue disfunzioni, che si potrebbero aggravare durante una crisi politica.

Dunque si faccia attenzione. Chi, compiaciuto, sostiene che l’epopea di Berlusconi è finita e ritiene che ciò comporti un’aria nuova di crescita, dovrebbe rendersi conto che le agenzie di rating che non amano l’Europa stanno sferruzzando la loro calza di fianco alla ghigliottina in attesa di veder cadere i titoli del Tesoro italiano, di Eni, Enel, Finmeccanica e di varie altre imprese, per guadagnare sulle vendite al ribasso.

Bossi sembra averlo capito, ma non abbastanza. Quando il capo della Lega Nord, improvvido, sostiene che questo governo ha avuto un bilancio negativo, non solo fa un torto a Roberto Maroni che ha fatto una guerra vittoriosa alla criminalità organizzata che mai nessuno prima era riuscito a fare, ma anche a Silvio Berlusconi che è riuscito a governare la rotta della nave dell’Italia nella brutta congiuntura economica internazionale, traendola fuori dalla crisi senza lacerazioni e portandola, sia pur lentamente, verso mete di progresso. Senza la capacità di Berlusconi di reggere la coalizione di governo di fronte alla politica di austerità fiscale di Tremonti, questi non sarebbe riuscito a mettere in sicurezza il nostro bilancio pubblico. E’ scritto Tremonti, ma si legge Berlusconi. A Pontida Bossi avrebbe dovuto spiegare alle sue bluse verdi che cosa è stato fatto per evitare la crisi e cosa realmente si rischia se ci si continua a lamentare in modo irrazionale, con richieste irrazionali come quella dei Ministeri al Nord e al Sud, dando la sensazione di voler sbriciolare il potere centrale di governo. Il che non è certo positivo per l’azienda Italia e per il popolo delle partite IVA, dei lavoratori a reddito fisso e dei risparmiatori.

Il rischio non è quello di elezioni anticipate in cui potrebbe vincere la sinistra. Il vero rischio è che l’azienda Italia venga degradata senza che se lo meriti, a causa di scelte politiche fratricide.