Moody’s parla e l’Italia rischia il collasso
20 Giugno 2011
È proprio vero: quando piove, grandina. A confermare i proverbi della saggezza popolare italiana sembra essere l’ultima vicenda in campo economico. Venerdì 17 – data particolarmente evocativa di oscuri presagi ancora per la maggior parte dei cittadini del Belpaese –, sul finire di una convulsa settimana di scambi e oscillazioni borsistiche sui mercati di tutto il mondo, l’agenzia di rating Moody’s ha voluto mettere la famigerata ciliegina sulla torta e chiudere con una dichiarazione destinata a far discutere. E non solo.
Quello che sostanzialmente è stato dichiarato è che alla luce dei recenti sviluppi involutivi della situazione greca, alla luce del piano di risanamento europeo che stenta a muovere i primi passi, considerato che l’Italia ha un debito pubblico in rapporto al PIL di oltre il centoventi percento, dato che il programma di previsione di pareggio di bilancio per il 2014 presentato da Tremonti – leggi, governo Berlusconi – e accolto entusiasticamente da tutte le maggiori istituzioni economiche internazionali è fortemente vincolato alla stabilità del presente governo e, in ultimo analisi, evidenziato il forte momento di crisi dimostrato dall’attuale maggioranza; presi in considerazione tutti questi fatti preliminari, Moody’s ha quindi deciso di cominciare un processo di approfondita analisi – che, come al solito, dovrebbe concludersi entro novanta giorni – per decidere se declassare lo standing creditizio dell’Italia, portandolo così dall’attuale Aa2 ad un Aa3, che, se da un punto di vista sostanziale non cambia molto perché rientrerebbe nella stessa classe del precedente – rating alto – da un punto di vista puramente formale sarebbe l’ennesima forte scossa che il nostro Paese dovrebbe subire.
Come più volte è stato sottolineato nei nostri precedenti interventi su questo giornale, il rating non è né più né meno di un parere che una società specializzata nell’analisi di dati macro e microeconomici mette a disposizione degli investitori per consentire loro di orientare in maniera più consapevole le loro scelte in merito alle personali decisioni di allocazione del capitale investito. Tuttavia, negli anni, le tre società di rating – che, detto per inciso, costituiscono una vera e propria lobby di potere e sono di fatto market maker e opinion leader allo stesso tempo – hanno cominciato a vaticinare in toni oracolari e, spesso, per compiacere gli umori degli investitori stessi.
Sia chiaro, con questo non vogliamo di certo affermare che tutte le premesse dalle quali Moody’s ha deciso di indagare sull’Italia siano errate o mistificatrici. Tutt’altro. Sono purtroppo incontrovertibili e drammaticamente tangibili. Quello che vogliamo sottolineare in questa sede è il fatto che inevitabilmente una dichiarazione del genere avrà fortissime ripercussioni già all’apertura delle Borse di lunedì mattina. La perversa spirale economica la conosciamo e si ripresenterà puntualmente anche la prossima settimana. I titoli delle principali banche italiane, che posseggono una grande parte dei bond di stato italiani verosimilmente subiranno sostanziose perdite. Lo spread tra i bund tedeschi e i BTp – che in settimana ha superato la soglia psicologica dei 200 punti base – aumenterà ancora, creando sfiducia e un primo senso di panico tra gli investitori. A quel punto il circolo vizioso sarà innescato e fermarlo potrebbe richiedere azioni molto ma molto decise.
Ovvio, l’Italia è l’Italia. Con tutti i pregi e i difetti. Questo lo sanno tutti. Ma il grande paraurti costituito dal fatto che la maggior parte del debito sovrano italiano è in mano agli italiani – popolo di grandi risparmiatori – questa volta purtroppo potrebbe non essere più sufficiente. Perché, a detta degli analisti di Moody’s, ci sono aspetti dell’attuale congiuntura economica europea che, uniti alla presente crisi della politica italiana – comunque incapace di decidere sul da farsi –, potrebbero esercitare pressioni sui conti italiani talmente elevate da risultare assolutamente incontrollabili da un unico stato.
La soluzione per evitare di essere la prossima Grecia è una sola. Decidere. Decidere subito. E per farlo la ricetta è sempre la stessa: unità e compattezza. È nel modo con cui si affrontano le difficoltà che si vede se un paese può crescere più sano e robusto.