Moody’s prima paragona l’Italia alla Grecia e poi fa marcia indietro
06 Maggio 2010
Le cassandre suonano ancora. L’agenzia di rating Moody’s prima lancia l’allarme, ovvero il rischio che la crisi finanziaria greca possa contagiare anche i sistemi bancari di alcuni dei principali paesi europei come Portogallo, Spagna, Italia, Gran Bretagna e Irlanda. L’Italia, dice Moody’s, pur avendo “un sistema bancario finora piuttosto solido” presenta comunque la possibilità di rischi di contagio “nel caso dovessero aumentare le pressioni dei mercati sul debito sovrano”. Silvio Berlusconi reagisce, dicendo che il nostro sistema bancario è solido, e accusando Moody’s di sbagliare. Le agenzie di rating, secondo il Cav., ormai hanno perso credibilità: bisogna intervenire per regolare la loro attività. Quanto ai conti pubblici italiani, precisa il premier, "il rigore resta la priorita".
Dopo l’intervento del Premier, Moody’s fa una parziale marcia indietro. L’Italia non è tra i paesi più a rischio fra quelli colpiti dalla crisi, fanno sapere gli esperti dell’agenzia, perchè non è stata "in prima linea durante la crisi finanziaria globale" e non lo è neanche ora che "la crisi finanziaria si trasforma in crisi del debito pubblico". Così l’attacco del rapporto "La sfida italiana: contenimento del debito con bassa crescita", che l’agenzia presenterà a breve a Milano. Il nostro sistema bancario? "Meno esposto di altri". Le politiche del governo? "Meno risorse pubbliche a sostegno del sistema economico". Insomma, complessivamente, un giudizio di "relativa stabilità" e "qualche vulnerabilità".
Ma ripensando all’atteggiamento dell’agenzia verso il nostro Paese, va considerato che un allarme, come si sa, genera sempre timori e preoccupazioni (infatti la paura che la crisi greca contagi il sistema bancario ha trascinato in profondo rosso le Borse del Vecchio Continente). E proprio per questo, considerata la fase, si dovrebbe procedere con cautela. Soprattutto perché il panico non si domina. A maggior ragione se il rischio di essere smentiti è alto. A smentire Moody’s ci avevano già pensato Bankitalia, poi il ministro Tremonti e poi un’altra agenzia di rating: Fitch. Esaminando i dati relativi al sistema Italia, Fitch mantiene un giudizio inalterato giudicando positivamente l’operato degli istituti bancari. “Il rating della nostra agenzia sul debito sovrano italiano – ha spiegato all’Adnkronos Christian Scarafia, senior director nel gruppo financial institutions di Fitch Italia – è di ‘AA-‘, con un andamento stabile per il prossimo futuro”. Ancora: “Le banche italiane hanno saputo reagire bene, grazie soprattutto ad un modello di business tradizionale basato principalmente sulla raccolta tra la clientela. Sicuramente il 2010 – ha concluso l’analista – non sarà facile, la ripresa sarà lenta e le banche avranno altre importanti sfide da affrontare”.
Bankitalia, già in mattinata, aveva tuonato: “Il sistema bancario italiano è robusto, il deficit di parte corrente è basso, il risparmio è alto, il debito complessivo di famiglie, imprese e Stato è basso rispetto ad altri Paesi, il debito netto nei confronti dell’estero è basso. Tutto ciò rende il caso dell’Italia diverso da quello di altri Paesi”. Anche il ministro Tremonti, conversando con una decina di deputati del Pdl a Montecitorio, avrebbe gettato acqua sul fuoco, precisando ancora una volta: “Siamo ’in parete’, ma i conti pubblici sono sotto controllo e la situazione italiana è molto migliore di quella degli altri Paesi. All’estero guardano con molti apprezzamento a quello che si sta facendo in Italia”. Tremonti ha avuto più di qualche merito: si è opposto all’attacco alla diligenza sulla spesa pubblica (anche se in minima parte, è quasi cronico, le “intrusioni” ci sono state), ma soprattutto ha evitato che la grande recessione si trasformasse in una crisi fiscale.
Quello che Moody’s si dimentica di dire perbene è che negli Stati Uniti si sono verificati 917 fallimenti, in Europa abbiamo avuto 47 interventi ma nessun fallimento, in Italia l’intervento statale è stato ancora meno necessario proprio perché, come a più riprese ha spiegato Bankitalia, l’economia italiana ha tenuto nel biennio di crisi grazie a un sistema bancario sostanzialmente sano e ramificato. Poi, grazie a un’industria manifatturiera che ha saputo gestire le difficoltà senza crolli e a una redistribuzione del rischio fra territori e famiglie.
La nostra economia è molto solida e diversificata, i conti sono in condizioni migliori rispetto a quelli di Spagna o Portogallo e il nostro debito è in gran parte domestico. La ripresa inoltre, sembra essere cominciata. Soprattutto dal settore manifatturiero, provengono segnali di ripresa. Anche la nostra industria ha ormai compiuto un salto di modernizzazione, ha imparato ad essere più efficiente, ha ottimizzato il capitale circolante, riducendo gli stock e l’indebitamento, e oggi è ancora in grado di fare da traino per l’intera economia italiana. Nel primo trimestre del 2010 la produzione industriale è cresciuta dell’1,7%, in particolare a marzo dello 0,8%, ma l’aspetto più confortante è l’aumento degli ordini, specialmente quelli esteri, cresciuti a marzo per il quinto mese consecutivo (+3,2% rispetto a febbraio). Nel mese di aprile la fiducia degli imprenditori è salita ancora, per l’ottavo mese consecutivo: +37% rispetto al picco negativo del 2009, tornando così al livello del giugno 2008, cioè a prima della crisi.
La casa di uno Stato è andata a fuoco ma l’incendio non s’è propagato ed è verosimile ritenere che non si propagherà, perlomeno fino ai confini italiani. L’estintore, certo, deve essere sempre a portata di mano e proprio per questo, come spesso abbiamo scritto su queste colonne, il governo deve mantenere il pieno controllo della situazione mettendo da parte le divisioni interne e le guerre intestine che in questo ultimo mese hanno caratterizzato il dibattito politico nostrano perché l’autorevolezza genera credibilità e la credibilità si può perdere nel giro di pochissimo tempo. E i mercati, questo, lo sanno bene. In questo senso i segnali di tregua all’interno della maggioranza vanno nella giusta direzione. Solo se non approfittiamo della voglia del sistema di ripartire i timori di perdita di competitività e di declassamento del sistema-Paese possono diventare concreti.