Mosca-Ankara: diplomazia, distensione, sicurezza cooperativa
25 Novembre 2015
L’incidente avvenuto la mattina del 24 novembre al confine tra Siria e Turchia, con l’abbattimento di un jet russo e la morte di uno dei piloti, è principalmente dovuto alla mancanza di un’unica catena di comando e controllo che coordini le operazioni contro l’ISIS. A quasi due mesi dall’inizio dell’intervento militare russo in Siria, devono essere ancora stabiliti meccanismi efficaci che assicurino trasparenza e prevedibilità, in modo da minimizzare il più possibile il rischio di eventuali collisioni.
Lo sviluppo di questi meccanismi è reso più urgente dall’intensificazione dell’impegno militare francese e della stessa coalizione internazionale a guida statunitense. In prospettiva, sarebbe auspicabile un innalzamento della coesione strategica e della cooperazione nelle operazioni, affinché i vari paesi e attori coinvolti nel conflitto combattano la stessa battaglia contro l’ISIS e altri gruppi terroristici sia sul campo che nei cieli di Siria e Iraq.
Si tratta di un’evoluzione di natura politica, che dovrebbe indurre la Turchia a rafforzare ulteriormente il proprio contributo alla stabilizzazione della Siria. In assenza di tale evoluzione, occorreranno maggiore prudenza e autocontrollo. Indipendentemente dal fatto che il velivolo russo abbia violato o meno lo spazio aereo turco, come già accaduto nel recente passato, le potenziali implicazioni di operazioni militari condotte da Mosca a ridosso del confine con la Turchia erano comunque note.
La Turchia è un paese membro della NATO e nuovi incidenti con la Russia potrebbero determinare la messa in moto dei meccanismi di difesa collettiva dell’Alleanza, che mira invece a favorire una distensione.
L’incidente può rendere ancor più difficoltosa la ricomposizione della crisi siriana anche dal punto di vista diplomatico, data l’interdipendenza tra il fronte militare e quello politico. Con la ripresa dei colloqui di pace a Vienna, si è registrato un avvicinamento tra i protagonisti delle trattative in direzione di un accordo sull’avvio della transizione politica, pur permanendo differenze sostanziali sulle tempistiche e sulle modalità dell’uscita di scena del presidente siriano Bashar al-Assad.
L’incidente non contribuisce di certo a favorire la convergenza tra le posizioni di Russia e Turchia sul futuro di Assad, convergenza che sarebbe determinante nell’indurre tutti gli attori regionali e internazionali coinvolti nella crisi, in particolare Iran, Arabia Saudita e lo stesso Assad, ad accettare una soluzione di compromesso.
La reazione del presidente russo Vladimir Putin alla notizia dell’incidente è stata molto dura. Il Cremlino ha accusato la Turchia di connivenza con il terrorismo, paventando serie conseguenze sulle relazioni bilaterali e lo schieramento in Siria del più sofisticato sistema antimissilistico russo (S-400), mentre nuove unità navali hanno già raggiunto la base di Latakia. D’altro canto, il primo ministro turco Ahmet Davutoglu ha rivendicato il diritto di Ankara di difendere il proprio spazio aereo.
Una rottura, oltre a compromettere il processo di stabilizzazione della Siria, avrebbe ripercussioni anche in altri quadranti geopolitici, soprattutto nel Caucaso. Diplomazia e de-escalation, invocate dal segretario generale della NATO Jens Stoltenberg a margine del Consiglio Atlantico riunitosi subito dopo l’incidente, sono pertanto necessarie a ricondurre le relazioni tra Turchia e Russia all’interno di un quadro di sicurezza cooperativa.
A tal fine, l’Unione Europea è chiamata a favorire attivamente la distensione tra Mosca e Ankara, a partire dal vertice che i capi di stato e di governo terranno con il presidente turco Recep Tayyip ErdoÄŸan a Bruxelles il 29 novembre.
(Emiliano Stornelli è Direttore del Programma Mediterraneo e Medio Oriente presso il Comitato Atlantico Italiano-Atlantic Treaty Association)