Napolitano vuole un governo subito, piaccia o no siamo già nel presidenzialismo
21 Aprile 2013
Ieri il Presidente Napolitano ha annunciato che lunedì sarà alle Camere e probabilmente assisteremo a una accelerazione nella formazione del nuovo governo. Si parla di Giuliano Amato, ma al di là dei nomi del premier e dei ministri, potrebbe essere un governo, politico, destinato a durare più del previsto e con un programma ricalcato sulle relazioni consegnate dai saggi.
“Il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato”. Così, nel 2006, Carlo Azeglio Ciampi, rispose in un comunicato, a chi (ed erano in parecchi), ventilavano la possibilità di confermarlo al Quirinale. Se Giorgio Napolitano, da Ciampi stesso visto come il suo naturale successore per idee e temperamento, ha deciso di contravvenire a questa lunghissima prassi, c’è da pensare quanto ai suoi occhi la situazione fosse grave. Che sia una sconfitta della politica è indubbio. Certo, questa abdicazione non è cosa di oggi.
La seconda repubblica nasce essa stessa da una supplenza “esterna”: i suoi due maggiori protagonisti, Berlusconi e Prodi, provenivano dal mondo dell’imprenditoria privata e pubblica. Il primo presidente della seconda Repubblica, Ciampi, era un tecnico che non aveva più preso in mano una tessera di partito dal 1947, per non parlare poi dell’esperienza tecnica di Mario Monti fino ad arrivare ai due presidenti di Camera e Senato, Boldrini e Grasso, che non avevano mai messo piede in un’aula parlamentare. L’unico politico che rimane in sella, Giorgio Napolitano, pur contestatissimo e visto molto spesso come un ostacolo, a destra quanto a sinistra, è stato costretto a rimanere, nonostante le ripetute dichiarazioni di indisponibilità dopo che i due candidati (protagonisti della nascita del moderno centrosinistra) sono stati via via bruciati.
Non è stato un bello spettacolo. Se in quasi settant’anni mai uno scenario simile si era verificato è perché mai la politica si era mostrata così inadeguata di fronte alle esigenze delle democrazia. A due mesi dalle elezioni, non solo nessuno è stato in grado di formare un governo ma neanche, più modestamente, di tracciare una via praticabile per uscire da questo vicolo cieco. I partiti, che Napolitano non lo hanno mai amato, sono andati in coro a chiedergli di rimanere per evitare l’implosione del sistema e la loro sparizione.
Di certo, e in questo giornale lo abbiamo sostenuto da mesi, la presidenza di Napolitano è ben altra cosa da quella delineata nella pur rigorosa lettera della Costituzione. Avevamo sostenuto che, qualsiasi successore sarebbe stato eletto, da Napolitano avrebbe ricevuto una eredità non solo pesante ma rilevante anche sotto il punto di vista politico. La presidenza della Repubblica ha, oggi come non mai, un potere negoziale di straordinaria rilevanza. Le cancellerie estere, non è un mistero, da tempo preferiscono interporsi col Quirinale piuttosto che con gli inquilini di Palazzo Chigi. La scelta sul tipo di governo ricade ormai sotto la discrezione del Presidente. I partiti, autodelegittimatosi, sono sempre più spesso costretti ad accettare le soluzioni presidenziali. Piaccia o no, questa è la situazione.
Una riforma del sistema sarebbe certo auspicabile. La Francia, nel passaggio tra la quarta e la quinta repubblica, aveva sperimentato una soluzione simile. E nacque il semipresidenzialismo, da molti inquadrato, erroneamente, come presidenzialismo tout court. Non ci sfuggono le problematiche che, in un Paese come il nostro, una eventuale coabitazione tra Presidente e Primo ministro di colore opposto, potrebbero porsi. Di certo un Presidente della Repubblica che, già autopotenziatosi nelle sue prerogative, avesse anche il consenso popolare, dovrebbe allora affiancarsi un Primo ministro meno rilevante di quanto in Italia oggi non sia. Mantenere le due figure, intatte nel loro ruolo, col solo correttivo dell’elezione popolare sarebbe un errore grave.
Se semipresidenzialismo deve essere allora andrebbe rivista l’intera architettura costituzionale. Dare al Presidente il potere di rappresentanza del Paese all’estero, attribuirgli il potere di revocare i ministri e il Primo ministro, inserire in costituzione la sfiducia costruttiva sarebbero già dei correttivi importanti e migliorativi. Magari, ora che siamo in un presidenzialismo di fatto, tracciare questa linea sarà più agevole. Opinione di Napolitano permettendo.