Napul’è miseria e nobiltà anche nel mangiare

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Napul’è miseria e nobiltà anche nel mangiare

26 Aprile 2009

Negli ultimi trent’anni, varie ragioni professionali mi hanno condotto a soggiornare per periodi di qualche continuità a Napoli. Questa circostanza mi ha consentito di vivere diverse stagioni della città, a cominciare dai terribili, ma umanamente esaltanti, momenti del dopo terremoto nei primi anni ’80, all’umiliante situazione della crisi spazzatura, sino all’attuale avvio di rinascita, mercé la determinata e determinate azione del Governo (centrale, ovviamente). La periodicità dei soggiorni mi ha permesso di conoscere multiformi esperienze della ristorazione partenopea, lancio e morte di locali, splendore e decadenza di trattorie, ingresso e uscita dei posti più diversi dalla qualifica di “alla moda”.

Al dopo terremoto è legata l’immagine di incredibili trattorie del “ventre di Napoli”, nelle quali la piacevolezza dei sapori e degli odori, i forti dubbi circa l’assetto igienico della cucina, la simpatia dei camerieri e il folklore di taluni personaggi che vi orbitavano, facevano un tutt’uno, a cui sono felicemente sopravvissuto, arricchito di divertenti ricordi. Tra questi ultimi non posso davvero dimenticate uno strampalato personaggio, che pareva uscito da un film di Totò degli anni ’50, il quale ogni sera faceva il giro di varie trattorie, munito di chitarra da “posteggiatore” d’ordinanza, restava qualche minuto al centro della sala del locale di turno, assolutamente silenzioso, passava quindi con un piattino a chiedere qualche moneta. Dopo aver assistito più volte a questa scenetta, da nordico ingenuo, chiesi una sera a un cameriere se, per qualche particolare ragione, nel locale fosse proibito suonare e cantare. “.. E quando mai!”, rispose il mio interlocutore, che, a seguito di mie ulteriori, petulanti, insistenze, mi precisò che “chille tene famiglia, ma…. nun sape sunà” (spero si scriva così)

Di tutt’altra natura, rispetto alle trattorie di cui sopra, è il Ristorante Palazzo Petrucci, ancorché sia allocato nel cuore della città, nella meravigliosa piazza San Domenico Maggiore, di fronte a Palazzo Filangeri. Il locale ha caratteristiche arredative ultra moderne, alquanto algide, giocate sui colori bianco e grigio, e si ripartisce su due piani, ottimizzando, con banale razionalità contemporanea, l’elegante originaria verticalità di un salone dell’antico palazzo.

Il primo impatto con il menù induce in qualche preoccupazione, giacché l’impiego di locuzioni come “Esplosione di carciofo con zuppetta di zabaione salato, polpettina di manzo profumata al timo, porri fritti e pancetta croccante” fa temere l’incontro con il più talebano dei locali “nouvelle cuisine”. Nulla di tutto questo, per fortuna! La prolissa e, talora stravagante, descrizione dei piatti, nasconde, infatti, per la stragrande maggioranza delle proposte, i frutti di una ristorazione fortemente legata al territorio, realizzata con materie prime di assoluta qualità, secondo gli auspici di questa rubrica. Nella sostanza, si può dire che il locale sappia offrire i piatti della tradizione partenopea (anche nelle quantità delle porzioni) curandone, con attenzione e capacità, una rivisitazione estetica della presentazione, secondo la migliore caratteristica che va riconosciuta alla “nouvelle cuisine”.

Tra gli antipasti – ove se ne digerisca la pomposa descrizione – è deliziosa la “lasagnetta di mozzarella di bufala campana e crudo di gamberi su salsa di cavolo broccolo”, la già ricordata “esplosione di carciofo”, l’astice scottato (con tante altre cose…). Tra i primi piatti tutte rimarchevoli le zuppe, spesso con presenza ittica, secondo la consuetudine locale. Ottimi i paccheri ripieni di ricotta con ragù napoletano, gli spaghetti con ortaggi, alici fresche e spolverata di provolone, gli spaghetti di Gragnano con “quinto quarto” d’astice e mozzarella di bufala, i ravioli di cicoli napoletani con salsa di porro. Nei secondi è sempre valida la qualità del pescato (a cominciare dalle pezzonie), assai apprezzabili le triglie scottate su purea di cipollotto e praline di ricotta fritta e il totano ripieno. Senz’altro da gustare il trittico di baccalà (con la ragguardevole presenza di una tartare) e le costolette di maialino gratinato alle erbe fini, con salsa d’aglio e friarielli. Buona e accurata la scelta dei formaggi e trionfante l’offerta dei dolci, a cominciare dalla stratificazione di pastiera napoletana. Degni di nota la millefoglie croccante al cioccolato fondente con mousse di ricotta, la crostatina al cacao con crema al cioccolato bianco e il tortino caprese caldo con nappatura alla menta.

Particolarmente cortese e professionale il servizio. Ottime le proposte della cantina, nell’ambito della quale si segnalano varie etichette di pregio, sia del territorio sia nazionali, con ricarichi corretti. Nel complesso i prezzi del locale sono piuttosto contenuti, in relazione al suo posizionamento tendenzialmente per fascia di clientela medio-alta: decisamente buono il rapporto qualità/prezzo-

Ristorante Palazzo Petrucci Piazza San Domenico Maggiore, 4  Napoli. Chiuso domenica sera e lunedì mattina.