
“Navigare necesse est…vivere non est necesse”. L’azzardo di Giuseppi e l’agonia dell’Italia

24 Marzo 2020
Navigare è indispensabile…vivere no. Questa l’esortazione che, secondo Plutarco, Gneo Pompeo diede ai suoi marinai i quali opponevano resistenza ad imbarcarsi alla volta di Roma (stremata dalla mancanza di grano) a causa del cattivo tempo.
Di fronte alla necessità che Roma aveva di grano (e contava allora circa 1.000.000 di abitanti) passava in seconda linea la stessa necessità di salvaguardare la propria vita sia da parte del comandante in capo Gneo Pompeo che della sua truppa (salus rei publicae suprema lex).
Tale citazione nell’attuale emergenza pandemico-economica potrebbe suonare, alle nostre coscienze moderne, non solo datata ma anche moralmente riprovevole in quanto sembrerebbe porre in contrapposizione due necessità privilegiando il dato della “oikonomia” nel senso aristotelico rispetto alla sacralità della vita.
Ma non è questa, probabilmente, la giusta lettura.
L’insegnamento di Gneo Pompeo, ed il perdurare agiografico della citazione, sta nel fatto che Gneo Pompeo è pronto, in primis, a sacrificare il proprio destino e quello dei suoi sottoposti (e sappiamo quanto Roma considerasse le sue legioni e la sua flotta) a fronte di un bene supremo: il “salus rei publicae”.
L’insegnamento di Gneo Pompeo, a livello politico e di potere, consiste nell’assunzione di responsabilità nei confronti delle istituzioni la cui sopravvivenza economico ed istituzionale dovrebbe essere prioritaria rispetto allo stesso destino dei
vertici, pro tempore, politici ed amministrativi.
Il Premier Giuseppi e la sua improbabile maggioranza ed i suoi ancor più improbabili ministri preso atto del calo del consenso elettorale, che li ha sostanzialmente annientati, della sicura perdita di stipendio e status e quindi preoccupati per la propria personale sopravvivenza politica stanno utilizzando il “catastrofismo pandemico” per assicurare a sè e a pochi altri una sopravvivenza personale e politica di status e di rango con utilizzo, con avvocatesca scaltrezza, dell’apparente nobile intento del “prima salviamo tutti”.
Ma il catastrofismo pandemico non può e non deve avere solo risposte emotive viste solo sotto il profilo dell’etica in astratto: vista così qualunque attività dovrebbe cessare fino a quando l’ultimo caso di coronavirus non fosse scomparso a livello mondiale.
E nel frattempo saremo tutti morti.
La verità è che il Premier Giuseppi non governa ma è governato dall’evento pandemico e dalla sua personale voglia di sopravvivenza politica e di potere.
Infatti ha furbescamente delegato, senza cederne il potere formale, ad una “tecnocrazia epidemiologica” il compito di indicare le scelte e le modalità di contenimento del virus: così, avvocatescamente, potrà attribuirsene in solitario la vittoria e scaricare sulla “tecnocrazia medica” la responsabilità in caso di sconfitta.
Ma la gravità dell’azione politica di Giuseppi e l’azzardo che sta compiendo è quello di non rappresentare al Paese che la vera scelta non è quella tra il salvare le vite e l’economia ma quella più complessa del salvare le vite mantenere le istituzioni democratiche in attività e con esse l’ossatura economico ed industriale dell’intero Paese.
Non bisogna dimenticare che Giuseppi, per quanto anonimo, rimane comunque un avvocato ed un professore di diritto.
In quanto tale sa benissimo che è in atto, a livello mondiale, uno spostamento del centro del potere dal Parlamento all’esecutivo ed alla burocrazia la quale è diventata il motore della formulazione della legge e ha assunto il potere di creare norme legalmente vincolanti attraverso mezzi quali la legislazione delegata.
E’ un avvocato amministrativo Giuseppi che sa benissimo che la molteplicità dei problemi socio-economici affrontati dallo Stato richiede la concretizzazione sempre più elaborata delle norme generali: con il che la specificità degli atti regolatori dello stato amministrativo congiunge la problematica del governo con quella dello “stato di eccezione”.
E ne fa un utilizzo spregiudicato in quanto nell’ambito del paradigma governativo tutto sta diventando eccezionale in quanto deve essere affrontato in un modo che risponda alla singolarità della situazione.
Il paradigma del governo e quello dello stato di eccezione (come afferma Giorgio Agamben) coincidono nell’idea di una “oikonomia” di una prassi gestionale che governa il corso delle cose presentandosi come “salvifica” della situazione concreta in cui deve misurarsi.
Lo sviluppo di tale azione concreta conduce inevitabilmente ad una trasformazione del sistema giuridico in cui la legge viene subordinata al governo ed usata in modo strategico dall’esecutivo.
L’emergere degli atti amministrativi firmati dal solo Presidente del Consiglio, senza il passaggio parlamentare e la controfirma del Presidente della Repubblica, istituzionalizzano la “eccezionalità” non semplicemente perchè sono emerse nel contesto della crisi sanitaria ed economica ma in quanto sono state ampiamente “governamentalizzate” e divengono atti normativi basati non come la legge sulla generalità, sull’ordine e sull’identità bensì sulla singolarità, la specificità e le differenze che esistono in circostanze particolari.
Attraverso il principio di governamentalità, che può annullare in ipotesi ogni forma di effettivo potere espresso dal consenso elettorale, Giuseppi sta, di fatto, rendendo inutile agli occhi della popolazione italiana le istituzioni repubblicane, Parlamento, Senato e Presidenza della Repubblica, presentandosi come interlocutore unico ed emanatore unico di provvedimenti di fronte all’intera nazione concretizzando così il sogno della democrazia su Facebook teorizzata dal defunto Casaleggio.
Naturalmente per autoalimentarsi e concretizzarsi lo stato di eccezione ha bisogno di diventare, in un ossimoro, istituzionale per cui dopo il salvifico “salviamo tutti” sotto la copertura del “catastrofismo pandemico” Giuseppi avrà necessità di uno stato di eccezione sotto il profilo del “salviamo tutti” sotto il profilo economico: stato di eccezione naturalmente che richiede unità di guida sostanziata dalla sopravvivenza politica di Giuseppi stesso.
Questo è il motivo della apparente confusione della strategia sanitaria, istituzionale ed economica: permettere a Giuseppi ed alle forze dell’attuale maggioranza sicuramente soccombenti alle prossime elezioni di rimanere, per il tramite del governo d’eccezione, ancora al potere nonostante ed anche contro la volontà politica degli italiani.
Che dovranno imparare a convivere con il termine “governamentalità” che tradotto suona così: votate chi vi pare ma ricordate che a comandare deve essere un esecutivo di gradimento del “sistema”.
Sistema che ha forza finanziaria (Grecia docet) per farsi “rispettare”. E’ chiaro che il combinato disposto di una “governamentalità tecnocratica” non espressiva di partito e del potenziamento della burocrazia con il ritorno, ad oggi già iniziato, dei boiardi di stato, sta introducendo un sostanziale cambiamento, in senso peronista, del nostro assetto costituzionale.
E’ giunto il momento che le opposizioni si facciano sentire squarciando il velo dell’ipocrisia sanitaria a difesa delle istituzioni repubblicane e della economia del paese.
Ricordo a me stesso che la nostra Costituzione (citata per lo più per convenienza che per convinzione) afferma che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Sul lavoro non sul catastrofismo pandemico. Lavoro che ha la stessa dignità costituzionale della salute.
E compito di un esecutivo sarebbe quello di, come Gneo Pompeo, sacrificare anche se stesso per coniugare lavoro, salute e rispetto per le istituzioni. Ma forse da Rocco Casalino e compagnia cantante è aspettarsi troppo. Chi deve agire agisca.
Ora è già tardi.