Né grillini né Tafazzi. Il futuro del Pdl si misura sulla responsabilità
08 Giugno 2012
Caro direttore,
le analisi speculari di Ernesto Galli della Loggia e di Vittorio Feltri avevano un solo punto in comune: la condanna dell’attuale classe dirigente del Popolo della Libertà. Per Galli della Loggia rea di essere prona ai voleri del “padrone”, incapace di emanciparsi e per questo meritevole di scomparire; per Feltri un’inutile zavorra della quale il Cav. farebbe bene a liberarsi al più presto. Avevo pensato che i due editoriali meritassero una risposta a freddo. La lettera del presidente del Senato pubblicata ieri sul Tuo giornale mi induce a rompere gli indugi. Soprattutto perché in essa si ritrova ciò che manca nelle analisi dei due illustri editorialisti: la capacità di contestualizzare una crisi.
Ci troviamo in realtà nel bel mezzo di una crisi di civiltà che sta cambiando i connotati del mondo e dell’Europa. Gli Stati un tempo sovrani hanno devoluto gran parte della loro sovranità all’Unione, ma il “transfert” non è riuscito. La sovranità si è dispersa, l’entità sovranazionale non è decollata e la moneta unica si è trovata priva di strumenti di difesa. Ne deriva che la Germania rischia di vincere a tavolino la terza guerra mondiale.
In Italia il sale della crisi ha infiammato ferite aperte nel Paese almeno dagli anni Settanta del secolo scorso, quando gli sbagli delle classi politiche portarono all’accumularsi di un debito pubblico sproporzionato rispetto alla nostra economia. Sicché chi oggi si trova a vario titolo a gestire la cosa pubblica sconta errori commessi da altre generazioni, e a causa dei vincoli internazionali sembra agitarsi disperatamente in una tonnara senza riuscire a trovare uno spazio vitale. Tutto ciò non è un alibi. Ma la crisi del PdL non può non essere inquadrata nella crisi di tutti i sistemi partitici europei, che accanto ai grillini ha visto esplodere pirati, neonazisti e chi più ne ha più ne metta.
Il presidente Schifani non fa sconti al suo partito. Evidenzia i limiti della passata esperienza governativa e anche l’errore di aver pensato che alle aggressioni mediatico-giudiziarie alla Spatuzza si potesse reagire alimentando campagne scandalistiche condite da una robusta vena di voyeurismo della quale a conti fatti restiamo noi le vittime principali. Aggiungiamo che quei limiti sono innanzi tutto limiti del sistema istituzionale italiano che non ha mai consentito a nessuno, da De Gasperi in poi, di governare pienamente e farsi giudicare solo sui risultati conseguiti. E diciamo pure che ad aggravare di brutto i limiti strutturali ha contribuito una precisa strategia giudiziaria finalizzata a sostituire alla sovranità del popolo il (pre)giudizio sommario.
Il vicolo per l’Italia già stretto è diventato cieco di fronte all’inedita prospettiva del fallimento di uno Stato sovrano, la Grecia. Se un varco si è riaperto, lo si deve in particolare a due uomini: al presidente Napolitano, che ha avuto il coraggio di interpretare in modo non “neutrale” i poteri che la Carta gli attribuisce; e il presidente Berlusconi che, seppure mai sfiduciato, sacrificandosi ha consentito la nascita dell’esperimento Monti. Forse un giorno la storia potrà rintracciare anche il piccolo contributo che, nell’assecondare quest’esito, è venuto da una classe dirigente oggi sotto accusa; così come va riconosciuto a quella classe dirigente stretta intorno ad Angelino Alfano il tentativo di uscire dall’angolo attraverso una riforma delle istituzioni che possa restituire all’Italia un po’ della sovranità perduta e alla politica un po’ della vitalità smarrita. E’ quello delle grandi crisi il tempo delle soluzioni ardite.
Solo conservando questa capacità di visione, e non certo ripiegandoci su noi stessi, potremo risolvere i nostri problemi interni. Di fronte all’impopolare governo Monti, solo quest’attitudine preserverà la nostra tensione di forza nazionale e potrà farci decidere di voltare pagina non quando il governo non ci piacerà più – perché per molti di noi già è così – ma quando l’esistenza di quel governo non sarà più oggettivamente un bene per l’Italia oggi esposta al rischio di uno shock economico il cui prezzo per i cittadini sarebbe ancor più alto di una pressione fiscale comunque insostenibile.
Dobbiamo essere consapevoli dell’importanza di ciò che fin qui abbiamo compiuto, e su questa base fissare i nostri paletti. Da una parte l’indisponibilità ad aizzare le piazze in nome di qualche sondaggio contro le responsabilità che noi stessi ci siamo assunti: né grillini di seconda mano né tantomeno Tafazzi. Dall’altra, la costruzione di nuove aggregazioni in grado di reggere la sfida che abbiamo davanti senza per questo rinnegare la nostra storia che è nata con Silvio Berlusconi. Solo in questo modo i nostri interlocutori saranno tentati di prenderci sul serio oltre ad attendere che i giornali ci sciolgano un po’ ogni giorno per poter raccogliere le nostre spoglie. In fondo, il problema è la compattezza di una classe dirigente e la sua capacità di autonomia. Ma entrambe si dimostrano sul campo e non dalle colonne di un editoriale.
Gaetano Quagliariello
Tratto da Il Foglio