Negli Usa come in Italia le elezioni si decideranno sull’economia
06 Luglio 2022
Le elezioni di midterm negli Usa si decideranno sulla economia. Non sull’aborto. La pensa così l’editorialista del New York Times David Brooks. La storica decisione della corte suprema americana che ha smontato la sentenza Roe vs. Wade avrà “un impatto limitato”. Quello della inflazione sarà molto più pesante. Tanto più che l’83 per cento degli americani pensa che l’economia del loro paese versa in brutte condizioni. L’83 per cento.
Le cose insomma non si mettono bene per il presidente Biden e il Partito democratico. Del resto Joe ha deluso chi pensava che avrebbe governato da sinistra, ma non ha convinto neppure chi vuole una agenda chiara di centro. Ha vinto sull’onda della ‘minaccia di Trump alla democrazia’. Poi l’Afghanistan, la pandemia e l’Ucraina. Ma delle scelte di politica economica si capisce proprio poco qual è la direzione di questa amministrazione.
Con tutte le differenze del caso, lo scenario descritto da Brooks vale anche per l’Italia. Il caro bollette è destinato a pesare non solo sulle tasche della working class impoverita, tra pandemia e nuove guerre, ma pure su quelle della classe media. Professionisti con doppio stipendio in famiglia e magari la casa di proprietà , che iniziano a spegnere l’asciugatrice automatica viste le sorprese in bolletta.
In un mercato del lavoro anemico, sempre più spaccato tra garantiti e chi non lo è, con prospettive di crescita dimezzate e lo spettro della recessione di cui per sempre ringrazieremo il boia Putin. Anche da noi le rilevazioni indicano che il numero degli italiani sfiduciati o preoccupati per la tenuta economica del Paese aumenta. Così veniamo al nodo cruciale, cioè che cosa dobbiamo aspettarci dalla classe politica che guida il Paese.
Da qui alla fine della legislatura il governo Draghi ha davanti prove rese più difficili dalla guerra, dalle mutate prospettive di crescita e dai partiti ormai in campagna elettorale. L’attuazione con approvazione Ue del Pnrr. Le riforme che ormai ci siamo abituati a chiamare strutturali che ancora si devono fare o completare. La tenuta del nostro debito e dei conti pubblici tra rialzi dei tassi e vincoli di bilancio. Il ruolo inedito che ci siamo ritagliati in politica estera nel contesto europeo e internazionale proprio grazie alla autorevolezza di Draghi.
Questa estate con il caldo che fa non ci sarà tempo per arroventare ulteriormente il quadro politico, ma a fine settembre, quando i parlamentari grillini avranno maturato la pensione, potrebbe scattare il liberi tutti. Tanto più che molti rappresentanti del movimento sanno che non rientreranno mai in Parlamento. E a quel punto di tutte le cose da fare resterà solo il fumo della campagna elettorale.
Si continua a parlare di un nuovo centro draghiano che dia continuità alla azione politica di Super Mario, sia che si vada al voto anzitempo o che si scelga la strada di una nuova maggioranza (con un nuovo premier?) fino alle elezioni. Come per gli Usa dell’incolore Biden però, su quali basi, quale programma e quale politica economica dovrebbe costruirsi il nuovo centro italiano?
Perché nei prossimi anni non basteranno solo provvedimenti pur necessari e che aspettiamo da tempo come il taglio del cuneo fiscale e la riduzione del costo del lavoro. Quello che oggi sembra rivoluzionario, per esempio avere una Pa digitale meno costosa e più efficiente, è il minimo sindacale. Per riportare alle urne o perlomeno rappresentare in parlamento tanti blocchi sociali il cui voto oramai oscilla da una stagione all’altra, o che a votare neppure ci vanno, serve una visione più ambiziosa. Un riformismo meno moderato e graduale. Più coraggio nel cambiare davvero le cose.
C’è una Italia che si è francamente rotta le scatole di vedere il merito messo sotto i piedi. Che vuole essere premiata se lavora, se si dà da fare, se innova è produttiva se fa crescere l’economia. C’è un pezzo di Paese, giovani e donne soprattutto, che non si accontentano più di aspettare chissà quando per avere opportunità che altri gruppi sociali hanno già messo in cascina sotto forma di garanzie con la pretesa di conservarle per sempre.
E c’è un mondo del lavoro e delle imprese capaci di investire e internazionalizzare che ha in testa un modello di economia diverso per il nostro Paese. Più legato alle comunità , alla crescita dei territori valorizzandone le diversità e le specifiche qualità , dove le università siano tutt’uno con il sistema imprenditoriale. Un mondo produttivo che ha bisogno di infrastrutture e di una politica che decida.
Questi blocchi sociali non sono rappresentati da chi predica lo sviluppo sotto forma di assistenza, la spesa fuori controllo per favorire e dare contentini di qua e di là scaricandone il costo sul nostro futuro. Quindi di nuovo, quali proposte ha in tasca il nuovo centro per trasformare radicalmente l’Italia?