Negli USA monta la rabbia per la riforma sanitaria

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Negli USA monta la rabbia per la riforma sanitaria

17 Aprile 2010

Nonostante l’ampia e compiacente copertura mediatica e la trionfale cerimonia di ratifica alla Casa Bianca, il fiore della riforma sanitaria di Obama stenta a germogliare nei cuori degli americani. Secondo la polizia federale, nei primi mesi di quest’anno le minacce ai danni dei membri del Congresso sono state 42. Non male, se si pensa che negli ultimi mesi del 2009 la cifra si era fermata a 15. In parte si tratta “semplicemente” di insulti volgari, ma le intimidazioni serie non mancano. “Minacce di morte incluse”, ha detto al Washington Post il responsabile della sicurezza del Congresso Terrance W. Gainer. L’eventualità che queste possano concretizzarsi – ha precisato – è “un’altra questione e parte di un’indagine” mirata a definire il da farsi.

Concretezza o no, di certo si sa che tre persone sono già state arrestate. E che nell’aria l’odore di veleno è pungente. Tra i legislatori nel mirino, il deputato democratico del Michigan Bart Stupak, artefice dell’accordo sull’aborto che ha consentito l’approvazione della riforma sanitaria. Dopo quel last minute compromise on abortion, si è ritrovato i telefoni e i fax di casa e dell’ufficio letteralmente “bombardati” da messaggi che andavano dalle consuete scurrilità al meno tranquillizzante “sei morto, sappiamo dove vivi, ti prenderemo”. Fatto sta che Stupak, pure se ha motivato la cosa con la stanchezza, ha deciso abbandonare la politica comunicando che alle prossime elezioni non si ripresenterà. Decine di telefonate minatorie le hanno ricevute anche lo speaker della Camera Nancy Pelosi (e suo marito) e la senatrice democratica Patty Murray.

A voler scavare, ce n’è per tutti i gusti. Dall’individuo affetto da personalità multipla che ha minacciato in un video su YouTube il deputato repubblicano della Virginia Eric Cantor e tutta la sua famiglia, alle ruvide e-mail ricevute dal democratico del Tennessee Stephen Cohen. Senza contare tale Mike Vanderboegh, che dal suo blog invita a combattere contro quello che chiama “Nancy Pelosi’s Intolerable Act”. In che modo? Rompendo “centinaia, migliaia” di finestre. Queste finestre – scrive – “non sono lontane dal posto in cui stai leggendo queste righe”, anzi, “praticamente in ogni città c’è una sede del partito della Pelosi, e queste sedi hanno invariabilmente delle finestre”.

E allora: “Break their windows. Break them NOW”. Vanderboegh ce l’ha davvero a morte con quelle finestre: “Rompetele, – dice – nascosti nelle tenebre o alla luce del sole, con sassi, mattoni, fionde o mazze da baseball. Rompetele e aspettate l’arresto in una proba e consapevole disobbedienza civile”. L’appello non sembra essere rimasto inascoltato. La notte precedente al voto sull’health care è toccato alla sede democratica di Rochester, nella contea di Monroe, con tanto di messaggio allegato al mattone: “L’estremismo a difesa della libertà non è un male”. Episodi analoghi si sono verificati a Niagara Falls (ai danni dell’esponente democratica Louise Slaughter), in Kansas e in Arizona.

È anche vero che, nella delicata vicenda, il Tea Party repubblicano non si è esattamente distinto per il savoir faire. Come nell’episodio del 21 marzo, quando in aula Stupak si è visto il collega conservatore texano Randy Neugebauer che gli dava dell’“assassino di bambini” sventolandogli un cappio sotto il naso. Non stupisce che, dopo qualche giorno, Stupak abbia ricevuto un fax con il disegno di un cappio. A quanto pare, anche l’ex candidata repubblicana alla vicepresidenza Sarah Palin ci ha messo del suo, pubblicando su Facebook una mappa nella quale contrassegna con il puntatore di un mirino venti “bersagli politici” tra deputati e senatori da sconfiggere alle prossime elezioni. Altrettanto vero è che, dissipati gli incensi mediatici della ratifica, l’orizzonte appare tutt’altro che sgombro. Secondo la media dei principali sondaggi tra il 19 marzo e il 12 aprile effettuata da RealClearPolitics, gli oppositori della riforma hanno conquistato un vantaggio del 12,3 per cento. In meno di un mese.

A schiarire il cielo non aiuta il titolo del New York Times di pochi giorni fa: “Confusi dal piano sanitario? Lo sono anche molti legislatori”. Il quotidiano della Grande Mela ricorda che “si è detto spesso che la nuova legge sull’health care finirà per toccare in qualche modo praticamente ogni americano”. E aggiunge: “anche se non intenzionalmente, nessuno potrebbe esserne più colpito degli stessi membri del Congresso”. O almeno così parrebbe in base a un nuovo rapporto del Congressional Research Service. Secondo il quale, in virtù di “questioni apparentemente tecniche”, la legge potrebbe avere delle “conseguenze non volute” per la copertura assicurativa sanitaria dei senatori, dei rappresentanti e dei loro staff. Per un totale di 535 membri del Congresso e di migliaia di impiegati.

A questo proposito, ancora il New York Times parla apertamente di “confusione” su un argomento che definisce “di immensa importanza simbolica e politica”. Una confusione che fa sorgere una domanda definita “ineludibile”. Se i legislatori che hanno scritto la legge e l’hanno fatta passare “non sapevano neanche cosa stavano facendo a se stessi” vien da chiedersi se abbiano compreso fino in fondo come questa riforma possa “influenzare le vite degli altri americani”.