Nel Dpef manca la scure sulle tasse ma la fase 2 del Governo è cominciata
16 Luglio 2009
Si sa che il governo dell’economia è impresa difficile, che diventa quasi impossibile nei periodi di crisi: quando troppo forte è la tentazione di affidarsi a fallimentari risposte dirigiste, quando cresce la pressione di di dilatare la spesa pubblica aumentando la pressione fiscale (errore imperdonabile nei periodi di crisi) o, errore forse ancora più grave, lasciando crescere a dismisura il deficit pubblico (piombo sulle ali dell’auspicata ripresa economica). In questi frangenti la capacità di governo si misura sulla stretta cruna della ricerca di un equilibrio fra le esigenze di solidarietà e di coesione sociale, quelle degli stimoli (veri) ai processi di crescita e quelle del rigore e della coerenza nella gestione del bilancio pubblico.
Un approccio che può apparire minimalista agli occhi degli “aizzapopolo” di ogni colore, sempre pronti a rivendicare interventi grandi ed organici per risolvere la crisi. Ma le crisi economiche, se si risolvono, si risolvono da sole e compito del governo è solo quello di ridurre le “doglie del parto”, cercando, da un lato, di accelerare i processi spontanei di ripresa del mercato e, dall’altro, di attenuare le più gravi conseguenze sociali della crisi. Un eccessivo interventismo statale rischia solo di aggravare e prolungare la crisi. Come insegna la grande crisi del 1929 che, nata come crisi essenzialmente finanziaria, fu trasformata in profonda crisi economica anche dalle eccessive e sbagliate politiche anticrisi tenute dal governo dell’epoca.
La manovra predisposta dal Governo (il decreto anti-crisi, integrato con le modifiche presentate ieri, ed il DPEF) sembrano muoversi esattamente in questa direzione. Il Governo è riuscito a predisporre un pacchetto di misure di impatto significativo a sostegno delle imprese ed a tutela dei ceti più esposti senza al contempo aumentare le tasse né peggiorare il disavanzo. L’effetto del decreto sui saldi di bilancio è nullo. Anzi, se riferito al saldo netto da finanziare dello Stato e al fabbisogno del settore statale vi è anche un leggero miglioramento. L’approccio è di carattere puntuale e selettivo: alcune misure di potenziamento degli ammortizzatori sociali, altre a tutela delle imprese nei confronti delle banche e della pubblica amministrazione, altre dirette a favorire fiscalmente processi di investimento ed innovazione produttiva. Per far fronte agli oneri derivanti da tali misura si prevedono interventi di contenimento della spesa pubblica e di recupero di entrate dall’evasione e dall’elusione fiscale.
E con gli emendamenti presentati in corso di esame viene rafforzato il profilo riformatore della strategia del Governo. Vi è in primo luogo l’operazione rientro dei capitali dall’estero. Un’operazione sacrosanta nel contesto di un mercato finanziario globalizzato nel quale anche altri Paesi stanno mettendo in cantiere misure simili. Inoltre l’operazione è costruita avendo come obiettivo non solo l’aumento del gettito fiscale ma anche il rilancio dell’economia nazionale: per beneficiare della sanatoria, infatti, i capitali dovranno rientrare “fisicamente” in Italia e pertanto dovranno essere reinvestiti nel nostro Paese. Importante è anche l’intervento in materia pensionistica, importante in sé ma anche per i suoi significati impliciti. La graduale equiparazione dell’età pensionabile delle lavoratrici del pubblico impiego non solo elimina una disparità priva di giustificazione ma soprattutto segnala che la partita “pensionistica” è tutt’altro che chiusa. Come confermato dall’introduzione di un meccanismo che nel medio periodo dovrebbe garantire l’ancoraggio dell’età pensionabile all’andamento della speranza di vita media.
Liberismo ben temperato: così potrebbe essere definito l’approccio del Governo. Ma manca un (fondamentale) elemento per poter giustificare appieno una simile definizione. Manca qualunque riferimento alla riduzione della pressione fiscale che rappresenta la quintessenza di qualunque politica liberale. Certo siamo consapevoli che in periodi di recessione è impossibile realizzare una politica di riduzione delle tasse. E’ già difficile riuscire a non aumentare quelle esistenti! Non era però forse il caso di rilanciare tale prospettiva nel DPEF collocandola temporalmente al momento del superamento della crisi? Dopo anni di fiscalismo esasperato, dopo una legislatura spesa ad accumulare tesoretti (derivanti dall’aumento della pressione fiscale) spesi in modo clientelare ed assistenziale, sarebbe stato questo il miglior segnale sul fatto che la “fase 2” del Governo fosse permanete iniziata. Ma, evidentemente, ci tocca aspettare ancora.