Nel “G12 di Internet” gli Usa andranno subito in minoranza

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Nel “G12 di Internet” gli Usa andranno subito in minoranza

01 Ottobre 2009

Primo ottobre 2009, ora X di Icann. E chi sa se anche della presente libertà di Internet, con l’Unione europea a chiedere un “riequilibrio” che potrebbe trasformarsi in colossale boomerang.

Ma cominciamo dal problema tecnico. Prima di tutto gli indirizzi Ip, sigla che sta per Internet Protocol. Sono i gruppi di numeri che identificano le interfacce connesse alla rete fisica, in modo da rendere possibili le comunicazioni tra un computer e l’altro: comunicazioni in cui poi in effetti consiste quel che è stato chiamato Internet. Memorizzare o utilizzare un gruppo di numeri, però, è faticoso, come ben sa chi si è trovato alle prese con quelli della propria carta di credito. È vero che coi telefoni la gente si è alla fine abituata a usare proprio un sistema del genere, ma gestendolo per molti decenni in modo molto contenuto: pochi recapiti cui si telefonava, a parte un numero ristretto di professionisti; e pochi minuti ogni giorno dedicati alle telefonate (o anche molti minuti, ma dedicati comunque a quel ristrettissimo ambito di intimi di cui si conosceva appunto il numero a memoria).

Se Internet ha potuto diventare così popolare è stato perché ogni indirizzo Ip è stato “tradotto” in “dominii” facilmente memorizzabili, il che assieme all’utilizzo di motori di ricerca e collegamenti ipertestuali ha reso l’uso di Internet più simile allo zapping che a sua volta era stato reso possibile per la tv dall’invenzione del telecomando. Va da se che poi zapping tv e “navigazione” su Internet a loro volta hanno creato una nuova mentalità,  riflessa poi anche in un differente uso dei telefoni, grazie ai meccanismi di memorizzazione dei numeri che ci sono oggi.

Risoluzione diretta viene detta la traduzione di un nome di dominio in un numero Ip, e risoluzione inversa il passaggio dal numero al nome. Ma nel Dns, il Sistema di Dominio dei Nomi (Domain Name System), ci sono a sua volta vari livelli, contati da destra a sinistra e intervallati dai punti. Ad esempio, it è dominio di primo livello (Top-Level Domain, Tld); loccidentale.it dominio di secondo livello; www.loccidentale.it dominio di terzo livello. E tutto ciò che riguarda questo “indirizzo” è dunque gestito secondo criteri stabiliti dal governo italiano, dal momento che it è un  Country Code Top Level Domain (Cctld): un dominio “nazionale”.

Accanto a i Cctld ci sono però anche i Gtld, dominii di primo livello “generici”. Il primo, che fu anche il primo della rete in assoluto, fu arpa, dalla sigla di quell’Advances Research Project Agency che inventò materialmente Internet. Poi nel 1985 vi si aggiunsero com per le entità commerciali; edu per quelli educativi, inizialmente generici, poi solamente statunitensi; gov per gli enti governativi statunitensi; net per l’infrastruttura di rete; mil per le forze militari statunitensi; org per altre altre organizzazioni non meglio categorizzabili nei top level domain.

Ma com. net e org con lo sviluppo della rete furono presto usati massicciamente anche fuori dagli Usa. Nel 1988 si aggiunse int, su richiesta della Nato. Nel 2001 aero per l’industria del trasporto aereo, biz per gli affari, coop per le cooperative, info per le informazioni, museum per i musei, name per gli individui e pro per i professionisti. Nel 2005 cat per la lingua catalana, jobs per le risorse umane e travel per il turismo. Nel 2006 mobi per la telefonia mobile. Sono stati approvati nel 2004 ma devono ancora entrare in funzione asia, post e tel, rispettivamente per siti a livello asiatico, poste e servizi di telefonia.

Primo problema, dunque: chi gestisce i Gtld? Secondo problema: se i dominii nazionali sono poi gestiti autonomamente, chi assegna i nomi di questi dominii: arbitrando tra Paesi quasi omofoni come Iran e Iraq, e risolvendo grane come quelle appunto del governo regionale catalano che ha chiesto un dominio cat autonomo dalla Spagna pur non essendo uno Stato indipendente? Terzo problema è poi quello della gestione dei root server: i 14 supercomputer cui concretamente spetta lo smistamento della rete a livello mondiale. E quarto problema, che sarebbe poi il primo, è l’assegnazione univoca degli indirizzi Ip.   

Contrariamente a quanto asserisce una diffusa leggenda urbana, Internet non fu sviluppata per assicurare le comunicazioni segrete del Pentagono in caso di guerra nucleare, ma solo come strumento di “dialogo” tra i computer della già citata Arpa, think tank di ricerca tecnologica generica. Però fino agli anni ’90 restò in gran parte un giocattolino Usa, gestito da un’Internet Assigned Numbers Authority (Iana) che era emanazione diretta del governo Usa. Fu il 18 settembre 1998 che la gestione dei quattro poteri nevralgici della rete fu trasmessa all’Icann: l’Internet Corporation for Assigned Names and Numbers. Sempre con sede negli States, nella californiana Marina del Rey; sempre con autorità derivata dal governo Usa attraverso il Dipartimento del Commercio; ma con lo status di ente provato internazionale no profit, e con un board in cui hanno seduto un gran numero di non statunitensi: oggi 13 su 21, compreso lo stesso presidente, neozelandese. Insomma, una classica soluzione di compromesso con cui gli americani hanno cercato di salvare la capra di un qualche controllo sullo sviluppo della loro grande creatura con i cavoli della sua sempre maggiore internazionalizzazione.

È proprio questo residuo di controllo Usa che negli ultimi anni è stato messo in questione. Antiamericanismo viscerale a parte, con la guerra al terrorismo c’è stato chi ha temuto che la Cia ne profittasse per mettere la rete sotto controllo. Senza contare che già dal tempo della guerra del Kosovo si era avanzato il timore che la Casa Bianca imponesse la chiusura dei server dei Paesi con cui si trovava in guerra: un rischio, per la verità, che si è rivelato assolutamente ipotetico non solo allora, ma anche per il successivo conflitto dell’Iraq (non si può parlare di rete Internet per il regime dei Taleban in Afghanistan…). Il fatto, però, è che molti tra i regimi che più si sono agitati contro il “monopolio americano di Interent” sono di quelli che temono il potenziale libertario della rete e mandano gli internauti in galera: dalla Cina all’Iran, a Cuba, a quella stessa Tunisia che nel novembre del 2005 ospitò un vertice mondiale sulla società dell’informazione che avrebbe dovuto mettere appunto sotto processo il “monopolio americano”, e che esordì invece col vietare un controvertice di Ong preoccupate. Mandando pure pesanti segnali alla stampa internazionali attraverso misteriose aggressioni di cui furono vittime un giornalista del quotidiano francese Liberátion e le troupe della belga Rtbf e della francese Tv5.

La richiesta di questi Paesi, come di gran parte dei governi del Terzo Mondo, è stata costantemente quella di mettere tutto sotto il controllo dell’Onu. Col risultato che possiamo vedere nella International Telecommunication Union, che per anni ha insabbiato ogni progresso tecnologico con la protezione a oltranza dei monopoli; o, peggio ancora, nella Commissione o poi Comitato per i Diritti Umani, storicamente egemonizzata da Paesi che questi diritti li violano. Lo stesso Kofi Annan allora si rese conto che una cattiva gestione di questa responsabilità avrebbe potuto essere per lo scarso prestigio residuo dell’Onu la mazzata finale, e rifiutò il “dono” con un articolo sul Washington Post. L’Ue propose allora una formula terzista: né Usa né Onu, ma un “forum” indipendente. Ma gli Stati Uniti insistettero: “Internet è un veicolo che va veloce è sicuro grazie al fatto che ha un solo guidatore”, spiegò un membro della delegazione Usa a Tunisi. “Che succederebbe con cento guidatori al volante di un solo veicolo?”. Finì che, anche per la battagliera pressione di Reporter Senza Frontiere, il processo venne virtualmente fatto ai processatori, invece che agli Usa.

Ma lo scorso maggio la Commissione europea è tornata alla carica, per bocca di Viviane Reding: democristiana lussemburghese e Commissario preposto alla Società dell’Informazione e ai Media. La sua richiesta: cogliere la data del 30 settembre, scadenza dell’accordo tra Icann e Dipartimento al Commercio Usa, per creare questo “terzo forum”. Sarebbe una specie di “Icann privatizzato e indipendente”: “ispirato alle migliori regole del governo d’impresa, in particolare in materia di trasparenza finanziaria e responsabilità interna”. Un altro slogan lanciato è quello di “G12 di Internet”, i cui membri dovrebbero essere designati dalle varie aree del mondo: due dal Nord America, due dal Sud America, due dall’Europa, due dell’Africa e tre dall’Asia, più il presidente dell’Icann, che rimarrebbe, e che però non avrebbe diritto al voto. Il che vorrebbe dire che gli stati Uniti potrebbero avere al massimo tre membri di cui uno senza diritto di veto, più probabilmente uno o due, e in teoria anche nessuno. Ma d’altronde non verrebbe neanche rispettata la proporzionalità nel popolo degli internauti: con il 42% degli internauti in Asia, il 24% in Europa, il 15% in Nord America, l’11% in America Latina e Caraibi, il 4% in Africa, il 3% in Medio Oriente e l’1% in Oceania.

Va ricordato che neanche il resto dei Commissari al principio sono stati entusiasti. Ma il primo settembre una troika composta dalla Presidenza di turno svedese, da quella prossima spagnola e da un funzionario si è recata a Washington a presentare la richiesta all’Amministrazione Obama, e a fine mese c’è stata una visita di risposta di rappresentanti del Dipartimento del Commercio in Europa. Controproposta non ufficiale: invece di un rapporto ogni tre anni al solo governo Usa l’Icann potrebbe farne un altro consultabile dalle istanze internazionali.

Obama ha chiaramente spiegato di voler rafforzare la sicurezza della Rete, ma nel 2010 sarà comunque redatto un rapporto all’Onu sul futuro di Internet, e c’è pure il rischio che Russia e Cina possano creare soluzioni tecniche alternative in grado di scombussolare il sistema gestito dall’Icann. La Cina, anzi, ha già un sistema Dns in ideogrammi per conto proprio, oltre alla prima popolazione di internauti del pianeta (338 milioni). Anche il Brasile sarebbe critico, anche se cerca di non farlo capire troppo per preservare i propri rapporti commerciali privilegiati con gli Usa. L’India obietta invece in linea di principio il monopolio Usa, ma le fa poi comodo il primato dell’inglese. E a novembre un’altra kermesse mondiale sulla Società dell’Informazione si preannuncia a Sharm el-Sheikh.

Insomma, si aspetta che per avere l’appoggio europeo Obama faccia qualche imminente concessione. Il rischio è che l’Europa invece di ottenere una Internet più libera finisca per creare un meccanismo in cui qualche governo “predatore di Internet”, secondo l’etichetta di Reporter senza Frontiere, finisca per avere poteri pericolosi.