Nel gioco iracheno è l’Iran a dare le carte

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Nel gioco iracheno è l’Iran a dare le carte

04 Aprile 2008

Dopo più di
una settimana di scontri a Bassora, è possibile tirare un bilancio provvisorio
degli eventi per cercare di fare chiarezza nel caos prodotto dalle dichiarazioni ufficiali spesso vaghe e contrastanti.

1. L’attacco
sferrato a Bassora dalle forze del governo iracheno, per la prima volta
autonome sul campo, contro le varie milizie armate è quasi certo che sia stato
deciso senza aver prima consultato l’alleato americano.

2. Come in
tutto il sud sciita, a Bassora, seconda città dell’Iraq, porto dove passa la gran
parte delle esportazioni petrolifere, il potere del legittimo governo centrale
è assolutamente scarso, se non inesistente. I 4.000 soldati inglesi sei mesi fa
si sono ritirati all’interno dell’aeroporto senza aver bonificato la zona. Il sud quindi non è
stato coinvolto nell’operazione di Petraeus e del surge. Non solo. Insufficienti sono le informazioni a disposizioni degli
americani, sempre stati assenti da quel teatro di operazioni.

3. Lo scopo ufficiale
dell’azione militare era di farla finita con la presenza di altri poteri al di
fuori di quello legittimo. La strada percorsa è stata quella del ricorso
improvviso alla forza, senza provare nessun altro sistema di mediazione e di
ricerca del consenso.

4. Gli
americani sono stati quindi costretti a intervenire a fianco di un alleato
debole contro un nemico che non aveva ingaggiato nessuna azione a suo danno.

5. Le forze
di sicurezza irachene e alleate hanno ucciso in sei giorni di scontri a Bassora
210 miliziani, ne hanno feriti altri 600 e arrestati 155, secondo quanto ha
reso noto oggi il Comando delle operazioni militari nella stessa Bassora con un
comunicato, ma Moqtada al-Sadr, definito da Maliki il nemico peggiore di al
Qaida, è sempre in piedi. Un portavoce dell’esercito iracheno ha ammesso di
aver sottovalutato la sua forza.

6. Moqtada al-Sadr
ha deciso di ritirare i suoi miliziani dalle strade dopo che una tregua è stata
raggiunta nella città santa di Qom con la mediazione iraniana tra una
delegazione ufficiosa del governo di Maliki (o per essere più precisi, formata
da esponenti di alcuni partiti al potere) e i dirigenti dell’esercito del Mahdi
(ma le fonti occidentali non concordano nemmeno con certezza su chi fosse
presente).

%3Cp>Sul tappeto
rimangono pertanto le seguenti questioni su cui regna la massima incertezza.

1. Chi ha
vinto? Per la prima volta, Nouri al Maliki ha agito come premier di uno stato
sovrano e questo è senz’altro un bene, ma ha fallito nella spallata finale ed è
stato bollato da alcuni giornali americani, ancora una volta, come “inetto”.

Quindi sembra
che la spedizione punitiva sia finita in un pareggio: al-Sadr ha chiesto
infatti alle sue forze di collaborare con il governo per raggiungere la sicurezza. Bisogna
considerare però che in Iraq quello che è semplice non è sempre la cosa vera e
che le nostre percezioni sono diverse da quelle della popolazione. Un dato è
certo. Nonostante l’appoggio dell’aviazione statunitense e britannica, le
truppe regolari appoggiate dalle milizie sciite del Badr (ISCI) e delle locali
forze del partito Fadhila non sono riuscite ad avere il sopravvento sull’esercito
del Mahdi, che ha aperto contemporaneamente un numero imprecisato di fronti (inclusa
Baghdad, dove nel mese di marzo si è avuta una paurosa escalation di attentati
e morti). Se qualcuno a Washington aveva sperato che questa iniziativa fosse il
segno di una raggiunta autonomia delle forze armate irachene, e che pertanto
fosse più vicina la strada verso casa, si è dovuto amaramente ricredere. Anzi,
gli scontri di Bassora, dagli esiti così incerti, sono stati un’anticipazione
della guerra civile che potrebbe scoppiare se gli americani si ritirassero
all’improvviso.

2. Perché il
governo centrale ha preferito la prova di forza con Moqtada e non la trattativa?
Il suo partito, ricordiamo, rappresenta i settori più poveri della popolazione
sciita ed è presente in parlamento. Due sono le ragioni che possiamo considerare
certe al cento per cento: 1) la più nobile, la volontà da parte del governo
centrale di riprendere il controllo di un’area vitale del paese approfittando delle
difficoltà di Al Qaida; 2) il tentativo di eliminare un forte avversario
politico che minaccia le altre formazioni sciite prima delle elezioni
amministrative di ottobre. Se così fosse, la condotta di Maliki sarebbe la
conferma di quanta strada resta ancora da percorrere al processo democratico e di
come il voto e il compromesso non rappresentino un’alternativa alle pallottole,
ma al pari siano un’arma da scagliare contro il nemico. Nella logica delle armi
come strumento di dialogo, allora, per il governo iracheno non è tanto importante
il fatto di aver fallito nel centrare l’obiettivo dichiarato, cioè l’eliminazione
delle varie milizie, quanto lo è invece l’essere riuscito a mandare un
messaggio chiaro a tutti i gruppi armati (e in questo senso può addirittura
aver aiutato Moqtada nel suo percorso verso una politica contraria agli
estremisti più direttamente legati alle milizie iraniane e/o criminali).

3. Perché
l’attacco è partito senza averlo concordato con gli americani? E’ la questione
più oscura. Sembra che gli americani fossero a conoscenza della volontà di
condurre l’operazione, ma che i tempi siano stati anticipati da Maliki per un
qualche motivo, forse per un errato calcolo politico. Ad ogni modo, le modalità di
conduzione delle azioni belliche non hanno seguito nessuna delle regole con cui
è stato condotto il surge. Non vi è
stata alcuna ricerca del consenso né è stato lanciato nessun piano a favore
della popolazione tradendo la
massima centrale della nuova strategia COIN multilevel che vede la politica al primo posto e l’uso oculato
della forza come ultima risorsa e sempre all’interno di un ben preciso piano
politico. In caso contrario, infatti vi è il rischio che i successi tattici
siano di brevissima durata. Gli Stati Uniti, dunque, devono stare attenti a
definire il loro rapporto con l’attuale primo ministro e in generale con il
governo centrale. E’ uno dei punti più problematici del rapporto tra alleati,
ma gli USA non devono cadere in un errore che già commisero in
Vietnam. Se da un lato è vero che non possono non appoggiare un governo amico,
è ancora più vero che non possono seguire passivamente le sue decisioni o trovarsi
davanti a fatti compiuti, con il rischio di essere visti dal popolo iracheno
come una forza straniera al fianco di una delle tante fazioni. Insomma, per il
futuro è meglio che gli USA passino da un appoggio incondizionato al governo
Maliki a un appoggio condizionato al raggiungimento di risultati concreti verso
la riconciliazione nazionale. E, infatti, ieri il maggiore generale Kevin
Bergner
, portavoce americano a Baghdad, ha precisato: “Le operazioni a Bassora
sono state concepite dagli iracheni, pianificate dagli iracheni e condotte
dagli iracheni in una provincia sotto il controllo iracheno”. Anche perché
nel caso della battaglia di Bassora, più che di un operazione di contro-insorgenza,
si è tratta di un intervento all’interno di uno scontro tutto iracheno per la
distribuzione di potere e risorse.

4. Qual è
stato il ruolo iraniano, specie nei rapporti tra fazioni e partiti pro
iraniani? La scelta del vicino e potente Iran per negoziare la tregua e la
presenza durante le trattative di Qassem Suleimani, comandante delle Forze Quds
(l’élite della Guardia repubblicana iraniana), confermano, da un lato, l’incapacità
e la debolezza del governo di Baghdad e, dall’altro, l’influenza, il prestigio
e l’autorevolezza di Teheran. Al tempo stesso, però, sono indice di un interesse
iraniano affinché la situazione in Iraq non degeneri, come dimostra la recente visita
di Ahmadinejad a Baghdad.

In definitiva, l’Iran vuole avere peso sulle questioni interne irachene, dettandone le condizioni con la certezza di appoggiare il partito
vincente. A conferma di ciò, alcuni giornali riportano, con beneficio d’inventario,
che l’azione punitiva contro al-Sadr è stata ordinata da Maliki d’accordo con Teheran. Se
così fosse, risulterebbe che la stabilità in Iraq è possibile solo se Baghdad, Usa
e Iran – quell’Iran che minaccia Israele e prosegue incessante il suo ambiguo
programma atomico – collaborano per il raggiungimento di una soluzione. Ma ci
sono osservatori che affermano l’esatto contrario: Maliki avrebbe deciso l’attacco perché il
condizionamento dell’Iran su al-Sadr, che puntava al controllo del porto di Bassora,
sarebbe stato troppo forte. Comunque sia, il regime degli ayatollah in Iraq gioca su tutti i
tavoli, copre tutti i ruoli, scommette su tutti i cavalli, provocando prima gli
scontri e poi indossando i panni del buon mediatore. Con le parole di un
politico iracheno “Iran è parte del problema e un’effettiva parte della
soluzione”.