Nel giornalismo di Giovanni Ansaldo c’era posto anche per Garibaldi
19 Aprile 2009
Giovanni Ansaldo, genovese, classe 1895, è stato giornalista di punta fra il primo dopoguerra e gli anni Sessanta. Figura controversa, dalla carriera a sbalzi. Prima antifascista, collaboratore della “Rivoluzione liberale” di Piero Gobetti, scettico osservatore del trapasso dell’Italietta dal regime parlamentare alla dittatura (soprattutto nelle vesti di corsivista e anima redazionale del quotidiano riformista ligure “Il Lavoro”), poi amico di Galeazzo Ciano, di cui diventa una sorta di consigliori e per cui dirige sino al 25 luglio il giornale di famiglia, il livornese “Telegrafo”.
Dopo il quarantacinque Ansaldo (in precedenza, con l’Italia divisa in due, decide di non collaborare e finisce internato in Germania), superato un periodo di ristrettezze e difficoltà “politiche” (epurazione, emarginazione eccetera), rientra alla grande nella carta stampata e per un quindicennio, dal 1950 al 1965, dirige “Il Mattino” di Napoli.
Del giornalista ligure si stanno, da un po’ di tempo in avanti, ripubblicando le opere maggiori (a cominciare dal formidabile “Il ministro della Buona Vita: Giovanni Giolitti e suoi tempi”, biografia agrodolce del Belpaese d’antan e del suo “dittatore” liberale, oltre ai bellissimi diari, usciti con una certa discontinuità per i tipi de il Mulino) accanto a scrittarelli e libelli.
In particolare, la casa editrice fiorentina Le Lettere viene raccogliendo volumetti, grossomodo di un centinaio di pagine, in cui sono radunati i suoi interventi su aree tematiche omogenee. È il caso degli scritti sul genero del Duce (“In viaggio con Ciano”) o ancora di quelli di carattere tedesco sul maresciallo Paul Ludwig von Hindenburg (“L’ultimo Junker. L’uomo che consegnò la Germania a Hitler”). Di questa stessa serie fa parte “L’eroe di Caprera”, una silloge uscita da qualche mese e che merita senz’altro maggiore attenzione di quella che le è stata riservata.
Nella “Prefazione” Francesco Perfetti spiega bene la genesi del garibaldismo – quasi a sorpresa – del giornalista, lo colloca nell’ambito delle memorie famigliari dell’autore, “un reduce dei Mille, il dottor Pietro Cristofoli da San Vito al Tagliamento, che era andato diciottenne con Garibaldi”, a cui va aggiunta una certa passione letteraria nutrita, lungo l’intera esistenza, verso due scrittori e memorialisti in camicia rossa: “Giulio Cesare Abba, l’autore delle ‘Noterelle di uno dei Mille’ note anche come ‘Da Quarto al Volturno’, e Giuseppe Bandi, autore di ‘Mille’”. Il livornese Bandi, in particolare, gli era caro visto che aveva fondato nel 1878 proprio “Il Telegrafo”, giornale che avrebbe diretto sino al crollo del fascismo.
Il Garibaldi di Ansaldo – e gli scritti raccolti ne “L’eroe di Caprera” lo dimostrano bene – non è tanto “l’eroe dei due mondi”, piuttosto il condottiero e capopopolo nostrano. La parola ancora a Perfetti: “Il Garibaldi, cioè, rientrato in Italia, nel giugno del 1848 sul brigantino Speranza proveniente da Montevideo: quel Garibaldi, che, combattendo in America Latina, aveva già scoperto di avere ‘le doti di un trascinatore e di un comandante di razza’ e si era reso conto davvero, in definitiva, che la sua ‘vera vocazione’ non era ‘quella (fallita) di marinaio su navi mercantili, né quella (fuorilegge) di cospiratore politico’ quanto piuttosto quella di ‘eroe soldato’”.
Dell’“eroe soldato”, Ansaldo schizza con gustosa efficacia alcuni episodi esemplari, improntati rigorosamente a “un sentimento unitario”. Vista la qualità e l’interesse del tema, è forse utile, in prossima occasione, ritornare sull’argomento, in particolare a proposito della penultima sezione del libro, intitolata “L’isola” e dedicata alla Sicilia.