Nella contesa tra Etiopia ed Eritrea spunta lo scudo francese per Gibuti
05 Luglio 2008
Il mondo è distratto da Robert Mugabe e dalle notizie degli scontri in Somalia, ma intanto in Africa un’altra guerra rischia di scatenarsi: tra Eritrea e Gibuti. A febbraio l’esercito eritreo ha improvvisamente iniziato a costruire una fortificazione a Ras Doumeira, una zona di confine non esattamente delimitata; lo scorso 10 giugno c’è stato un conflitto a fuoco che ha provocato 20 morti e varie decine di feriti dal lato di Gibuti; e il 25 giugno è sceso in campo Sarkozy in persona, assicurando al presidente gibutino Ismail Omar Guelleh il suo appoggio. Sviluppatosi da movimento di guerriglia che per ottenere l’indipendenza combatté per oltre vent’anni prima contro l’Etiopia del negus e poi contro quella del generale comunista Menghistu, l’esercito eritreo è armato fino ai denti, con ben 250.000 uomini e donne su una popolazione di neanche 4 milioni e mezzo, appoggiati da un centinaio di carri armati bulgari T-55: in proporzione, come se l’Italia avesse sotto 3,3 milioni di soldati sotto le armi, una cifra da mobilitazione generale della Prima Guerra Mondiale. Di che fare polpette in pochi secondi un esercito di Gibuti che non arriva ai 1.000 uomini. Ma ci sono in più i 2.800 soldati francesi, in una base tuttora appartenente a quella ex-madrepatria da cui l’allora Territorio Francese degli Afar e degli Issa ebbe l’indipendenza nel 1977; anch’essi pochi, ma armati fino ai denti, e comunque pegno di un decisivo impegno di Parigi, se ve ne fosse bisogno.
L’Eritrea, in effetti, il 24 giugno ha spiegato al Consiglio di Sicurezza che non ce l’ha con Gibuti, ma ha fortificato la frontiera contro l’Etiopia: con cui anche dopo la fine della guerra calda del 1998-2000 resta aperto il contenzioso sulla delimitazione delle frontiere; e di cui si teme che passando per Gibuti potrebbe aggirare il dispositivo difensivo dell’esercito di Asmara. “Cavallo di Troia”, è il termine che è stato usato. Addis Abeba, va ricordato, ha con Gibuti relazioni eccellenti, anche perché ne ha fatto il proprio sbocco al mare dopo la rottura delle relazioni con l’Eritrea: in ciò seguendo d’altronde la linea del negus ai tempi della colonizzazione italiana. Al contrario, dopo aver proclamato l’indipendenza nel 1993 l’Eritrea ha via via litigato con tutti i suoi vicini. Tra il 1994 e il
Lo stesso Afewerki, ex-combattente per la libertà, si è poi trasformato in uno spietato dittatore rispetto al quale perfino Mugabe può passare per pluralista. Nello Zimbabwe, se non altro, ci sono più partiti, anche se poi le elezioni sono sistematicamente adulterate. L’Eritrea langue invece sotto una forma di monopartitismo quasi cubana, e Reporter senza Frontiere l’ha classificata come l’ultimo Paese al mondo dal punto di vista della libertà di espressione: peggio anche della Corea del Nord. Durissima è anche la repressione verso le minoranze religiose diverse dalle quattro fedi ufficialmente “riconosciute”, e cioè quelle copta, islamica, cattolica e evangelica. E nel 2001 quando l’Ue protestò per l’arresto di alcuni dissidenti la risposta fu addirittura la cacciata dell’ambasciatore italiano Antonio Bandini, che aveva presentato il reclamo. Nel 2006 fece la stessa fine anche il numero due della legazione italiana Ludovico Serra: oltretutto anche arrestato per un po’ prima dell’espulsione, in sfregio a ogni immunità diplomatica. E nel 2007 i diplomatici statunitensi sono stati vittime a loro volta di gravi limitazioni alla loro libertà di movimento e di azione.
Un’indiscrezione suggerisce che il conflitto a fuoco del 10 giugno sarebbe stato provocato da un tentativo di diserzione in massa verso il territorio di Gibuti. Ma sembra che effettivamente gli etiopici abbiano costruito un’installazione militare in un punto sensibile, a Moussa Ali. Sarkozy ha ora ordinato a 200 soldati francesi di recarsi sulla frontiera. Il Consiglio di Sicurezza sta per inviare una commissione d’inchiesta. Il presidente gibutino Guelleh definisce la rivendicazione eritrea “ridicola”.