Nella corsa all’atomo il Piemonte di Cota dà la sveglia alle regioni italiane
14 Giugno 2010
La Regione Piemonte ha ritirato il ricorso contro la legge 99/09 che ha delegato il Governo ad emanare norme per il ritorno dell’atomo in Italia. Una decisione, quella presa dal neo-governatore Cota, coerente con le posizioni espresse sin dai mesi di campagna elettorale, quando TAV e nucleare erano stati descritti come i cardini di un progetto di governo per lo sviluppo infrastrutturale e alla crescita. “Una centrale nucleare pulita in Piemonte è meglio che una vecchia in Francia”, dichiarava Cota il 21 febbraio, evidenziando come il suo territorio debba già far i conti col nucleare ai confini con la Francia e come sarebbe preferibile potersi dotare di centrali più nuove e sicure per trarne diretti benefici, in termini economici, ambientali e di sicurezza energetica.
Ma la decisione assunta dal Consiglio regionale del Piemonte la settimana scorsa ha innanzi tutto precise ragioni giuridiche. Il ricorso alla Corte Costituzionale era motivato essenzialmente dal fatto che la delega non impone “che la disciplina del decreto legislativo preveda che la l’autorizzazione venga rilasciata previa intesa con la regione nel cui territorio s’intenda autorizzare la localizzazione e realizzazione degli impianti indicati”. Poco male, dato che il decreto legislativo 31/10, emanato in attuazione della delega, dispone che l’intesa della Regione sia richiesta in due momenti: una prima volta, per la localizzazione di ciascun sito nucleare, nel corso di un iter che coinvolge anche il comune interessato, cui spetta l’espressione di un parere alla Regione; la seconda volta, per l’autorizzazione dell’impianto, subordinata per altro al rilascio dell’intesa da parte di tutte le amministrazioni locali interessate.
Una doppia cesura che senz’altro determina un aggravamento del procedimento, ma che può trovare una giustificazione nel timore dell’incostituzionalità di cui altrimenti poteva essere affetta la norma. D’altra parte, il riparto delle competenze in materia di energia non sono del tutto chiare. Sotto il profilo legislativo, la produzione di energia è una competenza concorrente tra Stato e Regioni; pertanto, al primo spetta dettare le norme e i principi quadro e alle seconde completare il quadro della disciplina. Invece, sotto il profilo amministrativo, il grado di coinvolgimento delle Regioni (singolarmente o in conferenza Stato-Regioni) nei procedimenti di competenza statale in materia di energia è un tema che non trova spiegazioni esaustive nelle norme di rango costituzionale e che trova qualche riferimento al più in giurisprudenza.
Di sicuro quello che conta non è tanto il dettato della delega, quanto le norme ultime emanate in attuazione di questa. E nel caso in specie, da una lettura del decreto nucleare ci si rende conto che le necessità di un coinvolgimento e della salvaguardia delle prerogative delle regioni e degli enti locali sono state tenute in alta considerazione, semmai a scapito della ragionevole durata del procedimento. Se i primi decreti autorizzativi non verranno adottati entro la fine della legislatura, sarà perché al passo calmo del Governo in fase di pianificazione e stesura della disciplina tecnica, seguirà un iter di autorizzazione dei singoli impianti che la legge stabilisce nell’ordine di circa due anni, ma che potrebbe subire ulteriori ritardi per la composizione delle tante manifestazioni di volontà cui regioni e amministrazioni locali sono ripetutamente chiamate nel corso del procedimento.
La decisione del governatore leghista, quindi, non va dipinta solo come un gesto politico, ma anche come una ragionevole risposta data da un’amministrazione regionale allo sforzo compiuto dal legislatore statale per non incappare nell’incostituzionalità delle norme delegate. Piuttosto, c’è da chiedersi perché le altre regioni, venuto meno il motivo del contendere, non hanno ritirato il loro ricorso. Quand’anche la corte stabilisse l’incostituzionalità della delega nella parte in cui non impone al legislatore di prevedere l’intesa regionale quale condizione per il rilascio dell’autorizzazione, sarebbero, comunque, salve le norme del decreto 31/10, che la contemplano. Ma forse è qui che la ragionevolezza fa posto alla politica.