Nella cultura della vita non c’è posto per il suicidio
11 Settembre 2013
E’ passata sotto silenzio la giornata internazionale per la prevenzione del suicidio. Silenzio assordante: i grandi massmedia, sempre pronti a raccontare questo o quel suicidio, suicidi di coppia, suicidi-omicidi, suicidi “nobili”, suicidi d’autore, ora tacciono. Già, perché il suicidio è ormai reclamato come diritto e ci si trova in difficoltà nel dire che invece è un male. Come si fa a prevenire qualcosa che è lodato come diritto umano? Il suicidio assistito sembra essere la panacea di tutti i mali, viene riportato come scelta libera e democratica, viene osannato se non come atto almeno come principio… e il sucida fai-da-te resta lì, in un angolino, a domandarsi perché nessuno ormai senta il suo grido d’angoscia, in una società che ormai dice: sei disperato, ti vuoi uccidere… accomodati!
Eppure i suicidi aumentano, e questo richiederebbe una prevenzione, come fa infatti la comunità scientifica evidentemente distante da certa comunità politica. L’AGI riporta che sono aumentate del 12%, dal biennio 2006-2007 al 2009-2010, le persone che nel nostro paese si sono tolte la vita. Un numero molto elevato se si pensa che, in termini assoluti, significa 3.900 morti ogni anno in Italia, 250 solo nella citta’ di Roma, 700 nel Lazio. Sono un milione nel mondo ogni anno. Tantissimi, e tantissimi lasciati soli. Nella serie TV dr House, un personaggio diceva: “Certo che un terzo dei suicidi non dà segni di questo proposito prima di farlo”, e House rispondeva: “No! Il fatto è che un terzo dei suicidi ha degli amici così poco amici che non se ne accorgono!”. Dramma della solitudine, dunque. Ma se si parla di suicidio come diritto, se si sostiene che sia davvero un diritto umano, scrivevo ieri sull’Osservatore Romano, “non credete che qualcuno penserà infine – paradosso estremo- che il salvatore abbia preso una cantonata rischiando la vita per sottrarre il suicida alla morte?”
E non è che chi vuole il suicidio assistito lo vuole perché non può suicidarsi da sé: non è ad appannaggio solo dei paralizzati. Anzi. Quando qualcuno reclama il suicidio come un diritto, la lotta a questo male subisce una terribile frenata. E allora assistiamo al paradosso di chi censura che il suicidio è un male sociale e una vittoria della solitudine per far accettare la legalizzazione del suicidio assistito, come se il primo interesse dei malati fosse morire e non essere curati meglio anche nel fine-vita. Ma è possibile che esista una male contro cui ci si arma per tutelare il singolo e la società, e al tempo stesso ci si adatti a dire che in fondo “è un atto nobile”, “è un gesto libero”? Sembra che esista un suicidio “di serie A” che tanti sono pronti ad autorizzare e uno di “serie B” che sarebbe da prevenire; il primo è quello fatto in strutture autorizzate; il secondo è il suicidio fai-da-te; il primo è quello che si fa passando al vaglio di una commissione, il secondo no.
In tutto questo si sente stridere la contraddizione tra un fenomeno da prevenire e al tempo stesso da reclamare come “libera e dignitosa scelta”: attenti, sono due cose che non vanno d’accordo. Forse per questa palese contraddizione, il silenzio di ieri sulla giornata di prevenzione del suicidio: dire che un “diritto” è da prevenire non piace, non fa chic.