Nella giovane letteratura italiana il romanzo incontra la psicologia
03 Ottobre 2010
Il rapporto tra medico e paziente quando è in gioco la "sanità mentale" è assai complicato, pieno di sorprese e accadimenti dalle molte sfaccettature. Nel suo intenso romanzo la piementose Barbara Di Clemente (Albatros Il Filo 2009) costruisce una storia che vede il medico Andrea Ferretti, un luminare nel campo della psichiatria, passare "dall’altra parte della barricata", ovvero divenire lui stesso un paziente della clinica di Villa Pia, dove aveva lavorato tra gli altri proprio sul caso di Francesca. Proprio lei qualche anno prima aveva toccato nel profondo la mente e l’anima del dottor Ferretti, tanto da indurlo in seguito a sperimentare in prima persona quello stesso spazio asettico in cui la mente può essere preda dei più temibili fantasmi.
Il lettore rimane davvero avvinto dalla profondità drammatica della storia, che si snoda lungo i binari del continuo dialogo muto del protagonista; i ricordi del rapporto terapeutico con la ragazza si mescolano alla quotidianità di un istituto dove l’oggetto e l’azione più banale diventano misura unica della propria identità, accesa o spenta, sana o malata.
Temi duri, trattati con uno sguardo analitico e al contempo con una sensibilità in grado di trasmettere un senso di delicatezza che non cade mai nella sfera del patetico. Il merito di ciò è soprattutto del linguaggio: "Pochissimi segni di miglioramento da tre anni a questa parte. Così ha esordito sconfortato il mio psichiatria. Un caso come il mio non gli era mai capitato, poverino, si sente castrato e demotivato. Quante volte mi sono sentito così con Francesca. Impotente, piccolo e inutile di fronte alla sua assenza protratta, al suo muro di gomma inaccessibile".
La porta chiusa è in fondo un romanzo che potremmo definire "psicologico" – e un po’ viene alla mente certa letteratura primo novecentesca, con la sua struttura diaristica − eppure il ritmo e la successione di certe frasi, nonché alcuni riferimenti espliciti, ci riportano ai giorni nostri. L’interesse dell’autrice verso gli "spazi chiusi" che descrive non sembra inoltre estemporaneo, anzi si nutre di riferimenti e metafore pertinenti al campo della psicologia clinica o della filosofia. "Hanno chiesto il tuo parere e tu non hai potuto azzittire la voce artistica che ti tambureggiava dentro: ‘Gli uomini hanno il dono della parola non per nascondere i pensieri, ma per nascondere il fatto che non li hanno’. Con questa frase di Sören Kierkegaard ti sei alzato e ti sei incamminato verso la porta d’uscita, hai detto addio a un posto in cui non saresti mai stato te stesso, hai fatto capire al tuo vecchio che la passione se ne infischia dei legami di sangue".
In sintesi un romanzo che, come chiedeva Calvino nelle sue Lezioni americane, mantiene il dono della leggerezza, pur essendo talvolta doloroso, disperato, diretto e irrimediabilmente sofferto.
Barbara Di Clemente, La porta chiusa, Edizioni Albatros – Il Filo 2009