Nella scuola italiana il cinque in condotta non spetta solo agli studenti

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Nella scuola italiana il cinque in condotta non spetta solo agli studenti

01 Marzo 2010

In genere l’uovo di giornata mi piace e lo gusto con piacere. Stavolta non l’ho apprezzato, era manifestamente guasto.

Figuriamoci se non sono d’accordo sul fatto che in Italia sanzionare un comportamento sbagliato avrebbe portato in piazza sindacati, bivacchi di docenti, ecc. ecc. … e condivido in pieno tutto quello che è stato scritto al riguardo.

Ma dove non mi ritrovo più è quando si dice che «non stiamo a sindacare» se licenziando i 74 insegnanti si sia fatto bene o male, essendo «tentati di credere che non tutti i professori licenziati fossero inadempienti rispetto al loro dovere e tutti gli studenti immeritevoli di uno straccio di promozione». Eh, no! Proprio questo è il punto su cui bisogna pronunciarsi e sindacare. Altrimenti, si rischia di fornire giustificazione a bivacchi e picchetti.

La questione da tener presente è che l’ideologia dominante è sempre più quella secondo cui gli studenti hanno diritto al “successo formativo garantito”. Tutti debbono andare avanti allo stesso modo, raggiungere lo stesso traguardo e se non ci riescono la colpa è della scuola, degli insegnanti, del sistema. È un’ideologia egualitarista di stampo tipicamente socialcomunista, altro che liberale. Perciò non credo che gli obamiani de noantri si sorprendano. Casomai quelli che si sorprendono sono le cariatidi sindacal-corporative. S’informi la gallina che ha partorito l’uovo: i veri obamiani, anche de noantri, promuovono convegni dal titolo “Perché mi bocci?” (roba da far rabbrividire chi crede autenticamente nel merito), per proscrivere la bocciatura come onta suprema, come fallimento della scuola, tale da giustificare la cacciata a pedate per inefficienza di chi la somministra.

Insomma, si coccolano gli studenti che hanno ragione qualsiasi cosa facciano, e le famiglie che ne fanno la difesa sindacale. A loro va garantito tutto. È’ l’ideologia “costruttivista” di cui giustamente Gaetano Quagliariello ha detto che, avendo fallito sul piano sociale si trasferisce sul piano antropologico negando, come nel primo caso, l’imperfezione, l’incertezza. «È’ il tentativo – continua Quagliariello – di una sinistra costruttivista sconfitta per la quale la società doveva essere il paradiso in terra, di trasferire quello stesso costruttivismo nella vita dell’individuo», pretendere che «ogni momento possa essere programmato». È’ il tentativo di «far rivivere la mentalità del comunismo sotto mentite spoglie». Come dice Zygmunt Bauman – è interessante sentirlo proprio da un post-marxista – questa cultura «non ha gente da educare ma piuttosto clienti da sedurre», «è fatta di offerte, non di norme».

Vogliamo sorbircela noi questa cultura costruttivista, assieme agli obamiani, de noantri o no che siano?

Vogliamo berci l’uovo un po’ fradicio della “customer satisfaction” applicata alla scuola, per cui tutti debbono essere uguali, tutti debbono ottenere il successo educativo, i somari e i nullafacenti non ci sono, e il merito esiste sì, ma soltanto per chi non lo garantisce? Insomma, gli insegnanti facciano un po’ come gli pare, ma se non riescono a far sì che tutti vengano promossi, e a ottimizzare le prestazioni del sistema, bisogna cacciarli.

Si parte da una scuola elementare indecente in cui in otto ore di lezione si fanno soltanto tre moltiplicazioni o un tema, si arriva alle medie senza conoscere le tabelline e, come sa ogni buon insegnante, a quel punto non sarà più possibile apprenderle. Si arriva ai licei con carenze ortografiche e, come osserva Paola Mastrocola, occorre perdere tempo a colmarle anziché leggere i testi di letteratura, ma inutilmente perché a quell’età non si colmano più. Poi vediamo arrivare degli autentici analfabeti all’università. E la colpa sarebbe soltanto dei docenti e non piuttosto di riformatori, di estensori di programmi scolastici deliranti, di pedagogisti ideologici, di “esperti” scolastici che non hanno mai fatto un’ora di lezione, di maniaci della tecnologia a scuola, di libri di testo orrendi, ecc. ecc. Ed è questa stessa compagnia di giro che ora rimprovera i docenti se non funzionano le sue pessime ricette e vogliono la valutazione per cacciare chi non consegue il successo formativo.

Ma, si dirà, questa è una vicenda italiana. Eh, no! Questa è una vicenda dell’occidente e del crollo della sua scuola. Prima di depositare l’uovo bisognerebbe leggersi i libri di Alicia Delibes (Spagna) o di Laurent Lafforgue (Francia), o “La chiusura della mente americana. I misfatti dell’istruzione contemporanea” di Allan Bloom. Oggi più della metà dei PhD in materie scientifiche negli USA provengono da India, Cina, Corea del Sud, Singapore, Giappone, mentre gli americani finiscono in coda. Già, perché un piccolo indiano o cinese sa le tabelline prima di iniziare le elementari, alla fine di queste è avanti di tre anni rispetto alla media di un bambino occidentale, per alfabetizzazione e calcolo, e così via. Intanto noi ci balocchiamo con l’autoapprendimento, la customer satisfaction, il dirigente scolastico manager, i nostri giuggioloni da coccolare nella loro ignoranza e nella loro irresponsabilità, gli esperti scolastici che predicano follie del tipo che la nuova grammatica e ortografia la stanno creando gli sms dei ragazzi.

Perciò sarei piuttosto tentato di pensare che il vero imbecille, da licenziare a pedate, sia chi ha licenziato i docenti in base al rendimento degli studenti e non si è chiesto neppure in via ipotetica se i giovani che abbiamo di fronte siano sempre più incapaci di qualsiasi cosa per colpa di una scuola basata su teorie pedagogiche fallimentari, su programmi insensati, sull’idea che non bisogna imparare niente ma costruirsi liberamente ex novo le proprie conoscenze e “competenze” con il mero aiuto del docente-facilitatore. Sarei tentato di pensare che il vero imbecille sia chi persegue l’idea demenziale di agganciare le retribuzioni, a cosa? non alla qualità dell’insegnamento ma alle performance degli alunni…

Come se non fosse elementare capire – anche Watson lo capirebbe – che, se prevale una linea del genere, la via d’uscita è obbligata: i docenti, noi docenti, promuoveremo tutti. Così vi sarà soddisfazione generale, i parametri godranno, e la preparazione degli studenti andrà allo sfacelo. Sarà il trionfo del “culto dell’ imbecillità”, come lo chiamava il celebre matematico Bruno de Finetti.

Anni fa si è scoperto che in Italia sono troppi gli studenti universitari che non si laureano in tempo o abbandonano gli studi e che questa è una delle cause della cattiva posizione in graduatoria delle università italiane. Da quel momento, si è introdotto questo fattore come parametro per il conferimento dei fondi. E allora, dagli a promuovere. Un ministro si è anche vantato che il parametro era migliorato… Credo bene… Ora i parametri si sono fatti ancor più stringenti: occorre stare attenti anche a registrare gli esami senza ritardi. E tocca ai docenti: gli uffici si sono scaricati del compito, ai docenti spetta tutta la pratica burocratica, e se non la fanno presto e bene sono bacchettate sulle dita. Scommetto che tra non molto le università italiane saliranno nelle graduatorie. Parametri in salute, istruzione moribonda, imbecillocrati trionfanti.