Nell’epistolario di Cristina Campo c’è la meglio cultura del secolo scorso

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Nell’epistolario di Cristina Campo c’è la meglio cultura del secolo scorso

22 Gennaio 2012

Che Cristina Campo, al secolo Vittoria Guerrini, rappresenti una delle vette della cultura italiana dello scorso secolo lo dimostrano ampiamente i suoi saggi, le sue poesie e traduzioni. Negli ultimi anni gli appassionati alla sua figura hanno fatto tesoro di altre conferme scovate nelle raccolte epistolari edite da Adelphi. In quasi tutte le lettere c’è la stessa grazia della prosa, la stessa vocazione poetica che dà il fremito ai versi, la stessa capacità di leggere l’altrove nella realtà senza permettersi di trascurare la realtà medesima.

L’epistolario appena uscito, Il mio pensiero non vi lascia, raccoglie lettere agli amici del cosiddetto “periodo fiorentino”. Nel 1956 la trentenne Vitroria Guerrini lascia infatti il capoluogo toscano per trasferirsi a Roma, la città che vedrà sbocciare rigoglioso il suo talento artistico e maturare  l’appassionata adesione alla Chiesa cattolica e alla liturgia che tanto la coinvolsero negli ultimi anni della sua vita. Inoltre il soggiorno nell’Urbe le permetterà di incontrare persone fondamentali per la sua vita personale, spirituale e professionale, a partire da Elémire Zolla, complice sentimentale e culturale per diversi anni. Ma già prima di trasferirsi a Roma la giovane Guerrini aveva collezionato conoscenze di un certo peso, amicizie con spiriti se non eletti almeno illuminati.

Dalla Capitale scrive infatti a Gianfranco Draghi, militante prima azionista poi federalista europeo al fianco di Altiero Spinelli, scrittore, giornalista, analista junghiano ed ultimamente pittore. Draghi inoltre può vantare  l’indiscutibile merito di aver scritto nel 1958 il primo saggio italiano su Simone Weil, autrice così amata e studiata dalla Campo proprio in quegli anni. Altre lettere sono per il poeta Mario Luzi, ammirato incondizionatamente per tutti i Cinquanta e ridimensionato per i lavori successivi, per la pittrice Anna Bonetti, per lo scultore e mosaicista Venturino Venturi, per il poeta Giorgio Orelli.

Insomma, una bella fetta della migliore cultura che si faceva in Italia a quei tempi. E compaiono altri nomi importanti, da lei conosciuti personalmente o solo letti e recensiti. In compagnia di Curzio Malaparte, che lei sognerà a lungo dopo il decesso avvenuto nel 1957, si impegna a favore di Cipro occupata dai Britannici, si schiera poi in difesa di Danilo Dolci ostacolato nella sua lotta al sottosviluppo siciliano dalle istituzioni legali e mafiose. Altro nome non trascurabile è quello della filosofa Maria Zambrano, esule a Roma, costretta a vivere nell’indigenza e confortata materialmente dalla giovane estimatrice italiana che vedeva in lei “una di quelle creature che sulla terra fanno da puro tramite, perché non c’è in lei niente (ispirazione, energia, ricchezza) che subito non doni agli altri”. 

Scopriamo che all’inizio della sua amicizia con Zolla la presenza del saggista e storico delle religioni le dà “gioia, e insieme una sottile angoscia metafisica”, appare come “un personaggio di Thomas Mann che cerca di trasformarsi in personaggio di Pasternak”. Proprio lo scrittore russo è una delle scoperte letterarie di quel periodo. “Il dottor Živago” letto dalla Campo è “un libro pieno di imperfezioni, di squilibri” ma “pieno di voci, di misteri, di rimpianti, di ammonimenti”. Addirittura “l’appassionata, disperata risposta al di là di ogni orrore e desolazione”, “un libro colmo di destino, un libro che crea destini”.

Non mancano altri interessanti giudizi letterari: “il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa è “un libro tragico, molto bello – senza rapporti (grazie a Dio) con la nostra letteratura attuale”. Il giovane poeta Zanzotto la conquista con pochi versi, ma dopo aver approfondito la sua opera trova che le poche strofe valide “sono annegate in una tale superfetazione, che non so più da che parte cominciare per poter dire: questo è bello”. Quando invece sente parlare Ignazio Silone, che accettò di farla scrivere su  “Tempo presente”, le sembra “una piccola Pentecoste”.