Nell’era di Facebook difendere la nostra identità è diventato impossibile
13 Novembre 2011
Facebook starebbe tracciando profili "fantasma" di persone non registrate ai suoi servizi oltre ad acquisire informazioni non rilasciate dagli utenti già in possesso di un account sul sito. La denuncia di uno studente austriaco, pervenuta ad agosto all’Irish Data Protection Commissioner (Facebook in Europa ha sede legale a Dublino, ndr) è il risultato delle evidenze che il ragazzo ha raccolto a seguito della sua richiesta, in base alle norme del Data Protection Act, di ricevere copia delle informazioni che lo riguardano detenute da Facebook Limited. Tra le altre, spicca l’accusa di aver raccolto informazioni non rilasciate o già cancellate dall’utente come sessioni di chat o contatti di conoscenti. In totale 22 presunte violazioni. La società ha risposto che tali accuse sono infondate e che si sta procedendo, a rilento a causa del numero di richieste, a distribuire agli utenti che lo desiderino una copia del medesimo materiale come richiesto dalla legge.
In ogni caso il dibattito sugli users data è vivo e riguarda tutti i social network e il Web in generale. La tracciatura delle informazioni, o il sospetto che ciò avvenga, è uno dei leit motif della fervente stagione tecnologica che stiamo attraversando, e apre ampi scenari. Tra questi, la compravendita e la tracciatura di dati personali e informazioni.
Il Web non dimentica è una frase che circola in internet con frequenza snervante, quasi fosse un mantra o un epitaffio incancellabile. Eppure è vero: il Web ridefinisce l’intero ramo del diritto che afferisce all’informazione e alla comunicazione, e molti diritti come quello all’oblio o alla privacy ad esempio, sono ridefiniti laddove non annullati da una giurisprudenza incapace di procedere alla velocità del Web.
Le minacce ai diritti individuali arrivano da più fronti. La minaccia più nota è quella fraudolanta, portata avanti da criminali tecnologicamente avanzati, caratterizzata da furti di identità (le password su tutte) e di denaro, oltre che di truffe più articolate. Seguono gli hacker, che si propongono come paladini etici e fanno del Web il loro parco giochi denunciando e attaccando siti governativi, corporation e banche. Le corporation, che sfilano i dati personali dai profili dei propri utenti, diventandone quasi detentori. C’è poi l’attacco, spesso inconsapevole, rappresentato dagli utenti Web in genere. Tutti coloro che "ficcanasano" negli interessi e nei fatti altrui, più o meno pubblici e pubblicati, vittime di quella sindrome dello "spioncino" che ci ha investiti durante il caso di Avetrana, e non solo.
Tanto più la tendenza a rendere pubblica la propria esistenza emerge forte a livello popolare, tanto più il dibattito sui confini dei diritti-online merita di essere approfondito.
Eppure il Web non è l’unico esempio di tale tendenza, e non è solo il diritto a esserne menomato; la questione-intercettazioni è, per esempio, uno dei temi caldi dell’ultima legislatura, e interessa ciscuno di noi, oltre ai personaggi più in vista. Ciò che una volta era definita gogna mediatica, oggi supera tale concetto con la convergenza elettronica sempre più vasta. Per questo c’è bisogno di un’ulteriore definizione di limiti giurisprudenziali ma anche e soprattutto di tipo sociale ed etico nell’utlizzo di tali strumenti. Gestire dal basso una rivoluzione "popolare" insomma, altrimenti incontrollabile dall’alto. Adattare comportamenti e norme etico/morali, sviluppando una qualche forma di educazione all’uso. L’ordine politico e il diritto occidentale non possono da soli fornire un valido schema di comportamento a mezzi che superano i confini conosciuti della conoscenza e dell’ordine tradizionalmente conosciuto. Il Web è infatti emblema del nuovo modo di pensare globale: libero, spontaneo e spesso insofferente rispetto ai limiti imposti. E, forse, non sarebbe giusto snaturare un mezzo libero e meraviglioso come il Web.
Insomma i social media si possono amare ma, come tutto al mondo, sono perfettibili. Prendiamo ad esempio Max Schrems: dopo la sua esperienza, ha fondato il sito Europe vs Facebook. Eppure, dichiara nelle FAQ del sito Web, è ancora su Facebook.