Nell’Islam c’è una Guerra Fredda ma il Muro non è ancora caduto

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Nell’Islam c’è una Guerra Fredda ma il Muro non è ancora caduto

24 Agosto 2011

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, all’alba del famoso conflitto tra le due future super potenze uscite vittoriose dal conflitto, nel 1947, durante una intervista dell’allora consigliere presidenziale americano Bernard Baruch con il giornalista Walter Lippmann, si assistette per la prima volta all’uso del termine Guerra fredda come definizione della tensione politica e militare tra due blocchi ideologici opposti.

La particolare natura di tale guerra è strettamente connessa all’uguaglianza sostanziale nel livello di potenza e tecnologia degli attori in campo, ed è legata in maniera fondamentale alla paura di una mutua distruzione reciproca. Da manuale, una guerra fredda è "un conflitto basato sulle differenze ideologiche, condotto con modalità che non contemplano una prolungata azione militare manifesta e in genere senza la rottura di rapporti diplomatici".

Analizzando in maniera più analitica la definizione troviamo almeno due elementi fondamentali affinché possa svilupparsi un conflitto di tale specificità ossia: una chiara opposizione ideologica tra due blocchi e una azione militare non prolungata o condotta da terzi. Partendo da questi presupposti e inserendoli nel contesto dell’attuale area mediorientale è possibile avanzare l’ipotesi che oggi vi sia uno scontro ideologico, politico e militare all’interno dell’Islam tra la componente maggioritaria sunnita conservatrice e oligarchica, rappresentata maggiormente da Arabia Saudita ed Egitto, e la componente minoritaria e rivoluzionaria sciita rappresentata da Iran, Qatar, Oman e dai gruppi di Hezbollah e Hamas. E’ inoltre possibile affermare che questa contrapposizione abbia chiaramente i tratti di una guerra fredda.

L’inizio della storia di questa guerra inter-islamica risale al 680 d.C. a Kerbala, nell’attuale Iraq, dove si consumò il grande scisma all’interno del mondo musulmano tra la famiglia ommayde da cui derivò la corrente sunnita, e gli appartenenti alla famiglia del profeta Muhammad, il cui martirio diede luogo al culto della fede sciita. Dopo secoli di dominazione culturale e religiosa da parte dei sunniti, nel 1979 a Teheran, l’ayatollah Khomeini spodestava lo Scià di Persia e diventava custode supremo della rivoluzione islamica in chiave sciita conquistando una grande nazione all’interno della regione mediorientale.

Da quella data fino ad oggi l’Iran ha subito un embargo totale da parte degli Stati Uniti compensandolo però con una fitta rete di relazioni diplomatiche, economichee militari soprattutto con Russia, Cina e Venezuela. Dal 1979 ha ispirato e finanziato senza sosta il partito-milizia sciita di Hezbollah in Libano utilizzandolo come testa di ponte nell’area per cercare di esportare la rivoluzione islamica all’esterno e di aumentare la propria influenza nella regione mediorientale a scapito delle monarchie del Golfo e dell’Egitto.Dal 1980 fino all’1988 ha combattuto una guerra per la sopravvivenza contro il vicino lraq laicista di Saddam Hussein caldeggiato e appoggiato economicamente da Arabia Saudita e USA riuscendo a non essere sconfitto.

Dopo la morte di Khomeini nel 1989 seguirono periodi altalenanti di distensione con l’Occidente grazie alle mediazioni diplomatiche di presidenti "riformisti" come Khatami fino a quando nel 2005, con l’elezione a presidente della Repubblica islamica dell’Iran di Mahomud Ahmadinejad, c’è stata una nuova chiusura della comunità internazionale nei confronti del paese a causa della brusca radicalizzazione della politica estera da parte del nuovo estabilishment politico. La vera e propria escalation di dichiarazioni bellicose e minacce nei confronti di Israele e la chiara volontà, dichiarata a livello mondiale, di dotarsi della tecnologia atomica hanno costituito il passaggio da una visione presunta riformista ad una radicale nell’esportazione della rivoluzione. La maggiore conseguenza è stata una corsa agli armamenti tra le due parti.

Tra i più allarmati da questo stato di cose e ansiosi di contenere la crescente influenza iraniana nella regione c’è il blocco dei paesi arabi sunniti che percepiscono tale espansione di Teheran come una minaccia vitale ai propri interessi e alla loro stessa sopravvivenza. Tale alleanza che istituisce un contrappeso fondamentale per gli equilibri nella regione ha come maggiori rappresentanti l’Arabia Saudita e l’ Egitto, nonché il Marocco, l’Algeria, la Giordania, parte del Libano e quasi tutti i restanti paesi arabi. La gran parte di questi paesi, a differenza dell’Iran, hanno una storia nazionale lunga e priva di tensioni rivoluzionarie che si è plasmata e identificata negli anni con gli interessi americani nella regione ottenendo in cambio privilegi e protezione.

Se il potere geo-politico dell’Iran è in crescita grazie all’espansione della propria influenza   militare in Iraq e Qatar, e all’uso di organizzati e versatili mezzi esterni di deterrenza e di attacco come la ben inquadrata milizia di Hezbollah e la mina vagante di Hamas, il prolungato isolamento internazionale, il possibile attacco preventivo da parte di Israele e le immense ricchezze che la monarchia saudita utilizza per contrastare la rivoluzione iraniana, potrebbero ridimensionarne o perlomeno rallentarne le aspettative.

Il supporto iraniano ai manifestanti sciiti scesi in piazza in Bahrein, così come l’appoggio economico e logistico dell’Arabia Saudita alle rivolte delle popolazioni sunnite dei baluchi iraniani sono due facce della stessa medaglia di una partita giocata per la conquista del Vicino Oriente.

Tuttavia le recenti rivoluzioni hanno dimostrato chiaramente come le oligarchie o autoritarismi fondati su base confessionale non possano più reggere ai mutamenti sociali in corso. L’utilizzo da parte dell’Iran da una parte e dell’Arabia Saudita dall’altra di tali cleavages per influenzare nazioni appartenenti al blocco opposto, potrebbe creare spaccature interconfessionali insanabili sulla scia di quello che è successo in Iraq dopo l’invasione americana e dove tuttavia resterebbe più forte sul campo la repubblica Islamica proprio per la sua causa rivoluzionaria e popolare.

D’altro canto, i paesi del blocco sunnita nonostante l’appoggio Occidentale e i miliardi di petroldollari, sono soggetti dal basso a richieste sempre più pressanti di tipo sociale ed economico e se tali oligarchie al potere non comprendessero o non accettassero i mutamenti in atto compiendo reali passi in avanti verso sostanziali riforme, potrebbero sfaldarsi molto più facilmente di quanto da loro sperato.

Come la fine della guerra fredda fu splendidamente rappresentata dal crollo del muro di Berlino e dalla volontà popolare di distruggere tutto quello che esso ricordava, ideologie comprese, la fine di questo conflitto inter-islamico potrebbe avere finire solo con una implosione dell’apparato rivoluzionario dell’ Iran e/o di Hezbollah o con la fine dell’apatia politica dei popoli che ancora sorreggono le oligarchie sunnite dell’area.

Se la forza dell’Iran e di Hezbollah è basata sul consenso popolare e sull’assistenza alla popolazione, grazie adelementi di socialismo inseriti nel contesto della tradizione islamicache riescono a produrre consenso e appoggio incondizionato tra le masse alla luce di un nazional-socialismo islamico, le reali basi di potere del blocco sunnita restano l’appoggio Occidentale e le immense ricchezze provenienti dagli introiti petroliferi .

Sullo sfondo, come attori defilati ma partecipi, osservano gli eventi la neo-ottomana Turchia di Erdogan in cerca costantemente di allargare il proprio posto al sole nella travagliata regione mediorientale, e il piccolo stato di Israele che affetto da cronica sindrome da accerchiamento cerca semplicemente di difendersi.

I futuri scenari possibili sono molteplici e molti di questi perfino indecifrabili, tuttavia, se la situazione dovesse mantenersi con questo status-quo e senza l’intervento di una ormai super-potenza in declino,lo scenario di un Iran atomico capace di ricattare Ryad e l’intera area, sorretto dagli ausiliari di Hezbollah e Hamas sempre più sicuri del proprio potenziale militare da usare contro Israele, potrebbe diventare realtà e incendiare nuovamente e forse definitivamente la regione.