“Nevsky Express”, in Russia torna il terrorismo ma è senza volto
30 Novembre 2009
Alle 21,34, ora di Mosca, di venerdì 27 novembre, le ultime tre carrozze del treno passeggeri ad alta velocità “Nevsky Express” numero 166, partito da Mosca alle 19,30 e diretto a San Pietroburgo, sono deragliate alla velocità di circa 200 Km/h vicino allo snodo ferroviario della città di Bologoye, più o meno a metà strada tra i due grandi centri urbani russi. Su 660 passeggeri e 30 operatori delle ferrovie finora le vittime accertate sono 26, 18 i dispersi e 95 i feriti.
Dalle testimonianze raccolte, poco prima del disastro il macchinista avrebbe azionato il freno d’emergenza come reazione ad un black-out. Ma non è chiaro il motivo per cui questo elemento non è più apparso nelle cronache. La versione ufficiale imputa la tragedia ad un’esplosione, avvertita dagli stessi passeggeri, che avrebbe colpito la nona carrozza facendo deragliare quelle seguenti. La conferma è l’individuazione di un cratere sul punto del deragliamento. Dalle sue dimensioni si ipotizza una carica di sette chilogrammi di tritolo e attivata dal passaggio del convoglio. Un ordigno confezionato in modo artigianale, quasi primitivo. Sembra che questa esplosione sia stata seguita subito da un’altra, ma d’intensità minore.
Se la ricostruzione della dinamica dell’incidente non lascia margini di ambiguità, perché l’attentato è l’ipotesi più fondata, l’interpretazione politica è ancora incerta. Una serie di dati complica l’analisi della situazione. In primo luogo le ferrovie russe non brillano per sicurezza. Di completa proprietà statale, nel 2009 si trovano in una voragine debitoria di quasi 50 miliardi di rubli, che costringerà a licenziare oltre cinquantamila lavoratori. Per ammissione stessa della società, la sorveglianza e la manutenzione è alquanto bassa sugli sterminati tratti delle zone di provincia e spesso gli scambi devono essere regolati manualmente. Le stesse operazioni di soccorso sono iniziate soltanto dopo più di tre ore dal disastro.
Una delle piste investigative è quella della bravata di qualche folle. Quarantaquattro minuti prima era passato sulla stessa linea, nella stessa direzione, il “Sapsan”, il “falco pellegrino”, che è il treno il più sofisticato e veloce della Russia, ancora in fase di rodaggio. Non solo: il giorno precedente il Sapsan aveva effettuato il suo primo viaggio con passeggeri. Perché allora non colpire l’orgoglio della tecnologia russa? Forse perché il Nevsky Express ospita quasi 700 viaggiatori rispetto ai 500 del Sapsan. Questo rafforza il movente della strage. Infatti tra le vittime accertate emergono parecchi nominativi al vertice degli apparati burocratici.
Allora il bersaglio dell’attentato sarebbe l’èlite amministrativa che si sposta tra Mosca e San Pietroburgo, le due centrali del potere statale. Esattamente come il 13 agosto 2007, quando lo stesso Nevsky Express deragliò, quasi alla stessa ora, alle 21,38, per un’esplosione, ferendo una dozzina di passeggeri. In quel caso furono arrestati due cittadini dell’Inguscezia, accusati di aver agito su ordine di Dokka Umarov, celebre capo della guerriglia cecena, che proprio nel 2007 si autoproclamò emiro dell’intero Caucaso del Nord. In quest’ottica acquista ben altro valore la notizia per cui solo due giorni prima dell’attentato al Nevsky Express Umarov sarebbe stato eliminato da un commando russo al confine tra Cecenia e Inguscezia. Il Nevsky Express è diventato una vendetta per il leader ucciso?
L’alternativa al filone ceceno è quella dei gruppi ultra-nazionalisti. Il quotidiano russo Gazeta ha pubblicato la rivendicazione dell’attentato recante la firma di “Combat 18”. Si tratta di un movimento combattente di fanatici razzisti fondato in Inghilterra nel 1991, la cui cellula russa è particolarmente attiva, con una lunga serie di crimini, anche omicidi, perpetrati contro zingari, musulmani e immigrati. Ma colpire i burocrati e i manager del Nevsky Express sarebbe una svolta radicale nella strategia di questi gruppi estremisti. Ecco perché la pista nazionalista resta fragile.
Nella giornata di domenica il ministero degli interni ha diramato l’identikit di un uomo sui quarant’anni che è attualmente ricercato perché visto aggirarsi con fare sospetto sui binari poco prima del passaggio del treno. Ma è prematuro confermare la matrice caucasica dell’attentato – a parte che la Russia si ritrova nuovamente in una situazione di allarmante difficoltà in Caucaso. Giovedì scorso un colonnello delle forze speciali russe è stato ucciso da militanti islamici in Dagestan, mentre venerdì il capo della polizia in una provincia dell’Inguscezia è morto per un’autobomba e altri due poliziotti sono stati uccisi in Cecenia. Aumentano i segnali di una nuova stagione di conflitto armato, questa volta oltre i confini della Cecenia.
Il Nevsky Express conduce l’attenzione alla catena di attentati terroristi del 2004, quando nello stesso giorno, il 24 agosto, due aerei di linea esplosero in volo, e quando il 6 febbraio un attentatore suicida si fece esplodere nella metropolitana di Mosca. Un altro attentato ferroviario risale al 5 dicembre 2003, quando un uomo-bomba colpì un treno di pendolari a Stavropol. Tutti attentati imputati ai ribelli ceceni, che usavano il suicidio con l’esplosivo come marchio di riconoscimento. Nei due deragliamenti del Nevsky Express è mancato proprio questo elemento. Forse la guerriglia caucasica ha cambiato strategia o forse è la pista sbagliata. Per ora l’unico dato è il cratere dell’esplosione e le vittime. Il simbolismo è eloquente: Alexander Nevsky è uno dei padri della patria russa, Mosca e San Pietroburgo sono le sue capitali, le vittime appartenevano alla classe dirigente. La Russia e il suo potere sono il bersaglio centrato da terroristi che però hanno un nome ancora indecifrabile.