New York, Abu Mazen si mette in posa con Obama ma spreca un’occasione

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New York, Abu Mazen si mette in posa con Obama ma spreca un’occasione

22 Settembre 2009

Se il vertice trilaterale di oggi al Waldorf Astoria di New York sarà un dialogo tra sordi una parte della colpa è dei negoziatori palestinesi. L’intransigenza dell’ANP è pari a quella israeliana, con la differenza che Obama non è equidistante. Il presidente americano fino adesso si è distinto per negoziare senza precondizioni con gli avversari dell’America. Gli Usa hanno “resettato” la loro politica estera con la Russia, la Cina e il mondo arabo: c’è solo un Paese a cui Obama sembra voler imporre delle precondizioni ed è proprio Israele. La posizione dell’amministrazione americana sugli insediamenti  (stop completo a ogni costruzione) avvantaggia Abu Mazen, e gli israeliani l’hanno capito. Solo il 4 per cento della popolazione ebraica ritiene che Obama farà i loro interessi.

Netanyahu potrebbe accettare un blocco parziale di nuove costruzioni in Cisgiordania ma i palestinesi hanno altro per la testa. Pensano alle “core issues”, come ha detto il negoziatore Erekat: il ritorno dei profughi, le frontiere e lo status di Gerusalemme, la creazione dello stato promesso da Obama e che lo stesso premier israeliano ha ipotizzato parlando di una Palestina demilitarizzata. Tutte questioni su cui  discutere – secondo il ministro della Difesa israeliano Barak andrebbero risolte nell’arco di un paio d’anni – se non fosse che vanno a cozzare con il monolite del “congelamento” degli insediamenti, la pietra angolare dell’attuale diplomazia palestinese, che ha portato al fallimento dell’ultimo e recente viaggio dell’inviato americano Mitchell nella regione.

Erekat ha spiegato che i palestinesi non vogliono essere “il giardino” di Israele, vogliono semplicemente la loro terra. Tutta la loro terra. (Non è il solo a pensarla così. E’ la stessa richiesta avanzata da Obama a Israele.) “La verità è che il governo israeliano poteva scegliere tra la pace e gli insediamenti, e ha scelto gli insediamenti”, ha detto Erekat. Così Abu Mazen si è presentato a New York per accontentare Obama e non farlo sfigurare dopo tutto quello che sta facendo per i palestinesi.

Se in West Bank ci fosse una leadership nuova e meno ibernata di quella attuale, l’incontro di oggi avrebbe potuto rivelarsi un buon punto di partenza nella eterna partita a scacchi tra l’ANP e il governo israeliano. I sondaggi evidenziano che mai come adesso Abu Mazen – un leader vecchio, a detta di molti corrotto, e comunque pesantemente ancorato ai vecchi schemi della politica palestinese – gode di una ritrovata credibilità tra i suoi. Fatah appare decisamente in vantaggio su Hamas nella West Bank (circa dieci punti percentuli), mentre è testa a testa a Gaza. Il 58 per cento dei palestinesi disapprova il comportamento di Hamas nella Striscia (il 42 per cento lo disapprova con forza), mentre Abu Mazen ottiene un 71 per cento di indici di consenso in Cisgiordania ed un apprezzabile 48 per cento a Gaza.

Se oggi si tenessero delle elezioni, Hamas le perderebbe con buone probabilità, provocando un terremoto politico nel nascente stato di Palestina. (Ecco perché la dirigenza del gruppo terrorista ha condannato pubblicamente la visita del presidente palestinese a New York.) E se Abu Mazen ci tenesse davvero a riaprire una trattativa sulla soluzione “due popoli, due stati” avrebbe dovuto ripensare la sua posizione sugli insediamenti, tanto più che un’offerta da parte israeliana è arrivata. Invece preferisce seguire la linea dura ritenendo che possa pagare mediaticamente all’interno e nello stesso tempo aumentare la sua influenza ai danni di Hamas.

Eppure va ricordato che negli ultimi tempi, in West Bank, sono stati fatti dei passi avanti concreti nella cooperazione sulla sicurezza e lo sviluppo economico palestinese. Lo stato ebraico ha rimosso molti posti di blocco e checkpoint che rendevano impossibile la vita agli abitanti della Cisgiordania (ma che proteggevano quella degli israeliani), garantendo più libertà di movimento nei Territori e una maggiore libertà d’azione per i palestinesi disposti a fare affari. Di tutto questo però, e dell’importanza che potrebbe avere un compromesso sugli insediamenti rispetto alle "core issues", Abu Mazen sembra disinteressarsi, mentre si mette in posa, inutilmente, al Waldorf Astoria.