Newt Gingrich: il vecchio leone ritorna nell’arena

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Newt Gingrich: il vecchio leone ritorna nell’arena

13 Maggio 2011

"Oggi annuncio la mia candidatura a Presidente degli Stati Uniti”. Con questo breve messaggio pubblicato su Facebook e su Twitter – in contemporanea con un’intervista su Fox Tv − Newt Gingrich ha ufficializzato mercoledì quanto era nell’aria già da qualche mese: la sua partecipazione alla corsa per la Casa Bianca nelle elezioni del 2012.

La sua è la prima candidatura di peso tra i Repubblicani: mentre i vari Romney, Huckabee, Palin, Trump devono ancora uscire allo scoperto, l’ex speaker della Camera dei Rappresentanti ha deciso di giocare d’anticipo. In un video pubblicato sul suo sito e sul suo canale YouTube, Gingrich afferma di volersi candidare perché “possiamo far sì che in America ritornino la speranza e l’opportunità, una piena occupazione, una reale sicurezza, un programma energetico americano e un bilancio equilibrato”.

“Together we will win the future: right policies, right results” è lo slogan di una campagna elettorale che, se il buongiorno si vede dal mattino, punterà molto sui social network. Non è un caso: la campagna di Obama del 2008 ha fatto scuola e Gingrich, uno dei suoi più ferventi critici, ha deciso di sfidarlo sul suo stesso campo.

L’annuncio costituisce, anche simbolicamente, il ritorno del 67enne dirigente repubblicano nell’agone politico: dopo che con il suo “Contratto con l’America” aveva guidato nel 1995 il Partito Repubblicano alla riconquista della Camera − dopo 40 anni di egemonia democratica − e ne aveva occupato lo scranno più alto di speaker, nel 1998 Gingrich rassegnò le dimissioni in seguito alla sconfitta alle elezioni di mid term. Da allora, è rimasto uno delle voci più importanti dello schieramento conservatore, tra i più influenti opinion leader e analisti politici americani, ma la maggior parte del suo periodo di otium – come i Romani chiamavano la lontanza volontaria dalle cariche pubbliche è stato dedicato ad attività private – una rete di società non profit e a scopo di lucro− e soprattutto alla pubblicazioni di libri: da Lessons learned the hard way del 1998 a Winning the future: a 21st century contract with America del 2005, fino a Rediscovering God in America (2006).

Quest’ultima è forse la sua opera più significativa: non solo perché esprime la convinzione che per definirsi Americani è necessario credere nel Dio di God bless America e nelle fondamenta cristiane della Costituzione del 1787, ma soprattutto perché ha fatto seguito, nel 2009, la sua conversione dalla corrente evangelica della Southern Baptist Convention alla Chiesa cattolica di Roma. Una decisione maturata sia perché cattolica è anche l’attuale moglie Callista, sposata in terze nozze, sia perché la Chiesa cattolica rappresenta una tradizione millenaria di spiritualità e comunità che, insieme a Gingrich, ha attirato altri esponenti di punta del conservatorismo d’oltreoceano, quali il governatore del Kansas, Sam Brownback, e l’editorialista Robert Novak. Già poco prima di convertirsi, Gingrich commentò così l’invito dell’Università di Notre Dame al Presidente degli Usa, Barack Obama: “È triste che Notre Dame inviti il Presidente Obama a pronunciare un discorso augurale, dal momento che le sue politiche sono così anti-cattoliche”.

L’avversione all’operato del primo presidente nero nella storia degli Stati Uniti non si limita, ovviamente, alle posizioni concilianti verso l’aborto o verso l’utilizzo in laboratorio delle cellule staminali – che i conservatori rinfacciano a Obama –, ma assume i toni di una bocciatura tout court della presidenza democratica. "Il presidente Obama dovrebbe vergognarsi di se stesso: la politica estera è un disastro molto, molto scoraggiante, mentre quella per l’energia è antiamericana": le prime parole di Gingrich da neocandidato e potenziale sfidante dell’attuale presidente – pronunciate durante un’intervista alla Fox – diradano ogni dubbio, ammesso che ce ne fossero, sulla totale contrapposizione ideologica tra il vecchio leone conservatore e l’ex senatore dell’Illinois. Solo l’uccisione di bin Laden è riuscita a strappare dei complimenti a Obama dalla bocca di Gingrich.

Le critiche più incisive il candidato repubblicano le ha rivolte alle politiche economiche attuate dal presidente americano, culminate nella pubblicazione del suo ultimo libro, uscito nel 2010, To save America: Stopping Obama’s secular-socialist machine. Secondo l’ex professore di Storia all’Università della West Georgia, l’interventismo economico dell’attuale governo di Washington ha avuto come risultato quello di aver bloccato la crescita economica, di aver aumentato il tasso di disoccupazione e l’inflazione, di aver innalzato in modo scriteriato la spesa pubblica; in questo senso, l’abolizione della riforma sanitaria, così strenuamente sostenuta da Barack Obama, è la vera crociata di chi, come Newt Gingrich e i sostenitori dei Tea Party, vede nell’intervento statale nella gestione economica lo spauracchio del socialismo e l’attentato al principio liberista del “less government is a good government”.

“In qualità di speaker della Camera, mi sono battuto per riformare il sistema di welfare, riequilibrare il bilancio, controllare la spesa e tagliare le tasse, al fine di creare crescita economica e abbattere la disoccupazione. Ci siamo riusciti allora e possiamo farlo di nuovo”, è il grido di guerra di un Gingrich combattivo come mai più era stato da quando, appunto, guidò i repubblicani alla riconquista della Camera.

Allora fu il “Contratto con l’America” a spianare la strada verso un successo che, come già ricordato, mancava da 40 anni. Preso successivamente a modello da altre formazioni di centrodestra europee (il “Contratto con gli Italiani” di Silvio Berlusconi nient’altro è che un tentativo di emulazione), il Contratto rappresentò la giocata vincente con cui i conservatori vinsero le elezioni di mid term del 1994, a metà del primo mandato della presidenza Clinton. Il documento, che trae origine dal lavoro di ricerca della Heritage Foundation – il più importante think tank conservatore americano – può essere considerato una vera e propria Bibbia del pensiero repubblicano. In esso, infatti, si trovano le basi dell’attuale movimento dei Tea Party, che lo scorso autunno hanno tolto ai democratici la maggioranza alla Camera: tagli alle tasse per le imprese e le famiglie, più politiche di sicurezza e più posti di lavoro, ma con un abbassamento della spesa pubblica e il pareggio di bilancio.

Il Contratto ebbe così tanto successo e il suo leader carismatico riscosse una tale fama che il Time dedicò a Gingrich l’ambita copertina di “Uomo dell’anno 1995”. “Gingrich ha cambiato il centro di gravità – commentò Morrow Lance all’interno di quel numero del prestigioso magazine –. Da Franklin Roosvelt in poi gli americani hanno accettato il governo federale come la soluzione ai problemi. L’amministrazione di Reagan ha predicato che il governo fosse il problema, ma non è riuscita a rovesciare il sistema della Great Society. Newt Gingrich vuole invertire la fisica, rendere veramente centrifugo il governo americano”. Un commento che, nonostante sia stato pronunciato 16 anni fa, sembra incredibilmente attuale.

Che il travolgente successo dei Tea Party e la riproposizione storica della situazione politica della metà anni ’90 abbiano spinto un vecchio combattente come Gingrich a rimettere la propria faccia in gioco? La relazione adulterina con l’attuale moglie, ma che nel 1998 era solo l’amante, proprio mentre in Parlamento Gingrich chiedeva l’impeachment per Clinton dopo lo scandalo Lewinsky, ancora costituisce una macchia nella biografia politica del 67enne candidato repubblicano; inoltre, l’uccisione di Osama bin Laden sembra aver riportato Obama al di sopra del livello di guardia – gli ultimi sondaggi lo riconfermerebbero al 60% . Ma l’America conservatrice crede ancora alla riconquista della Casa Bianca e per Newt Gingrich è arrivato il momento di abbandonare le rassicuranti pareti della sua abitazione in Georgia e rimettere i piedi in campo.