No, la Giordania no
02 Febbraio 2011
Re Abdullah di Giordania, assieme al re del Marocco Mohammed VI°, è uno dei pochi leader arabi impegnati da anni nel tentativo – dai risultati insufficienti, come lui stesso ammette con onestà – di serie riforme economiche e politiche e questo lo pone in una posizione unica a fronte del movimento di protesta che ha contagiato anche la Giordania.
Dopo avere ordinato pochi giorni fa al primo ministro Samir Rafai di annullare le liberalizzazioni economiche appena introdotte, che hanno fatto balzare alle stelle i prezzi dei beni di prima necessità, re Abdullah II° ha ammesso le difficoltà: “La Giordania si autodefinisce più liberale e aperta dei paesi vicini, ma non è immune dai timori di disordini provocati dalla situazione economica”.
Ieri, preso atto che la protesta continuava – ma in forme più contenute che in altri paesi- Abdullah II° ha dato alla piazza quello che chiedeva ed ha sostituito il premier Samir Rafai, responsabile di una riforma economica tutta a vantaggio delle classi elevate che aboliva il regime di prezzi controllati per i beni di largo consumo, tra cui cous cous e benzina, con l’ex generale ed ex premier Marouf Bakhit, con il mandato “di attuare riforme politiche chiare e rapide che sostengano la nostra azione in favore della democrazia”.
Ovviamente non è casuale che Bakhit sia un ex generale, in un paese in cui da sempre, sin dalla rivolta del 1917 di Lawrence d’Arabia (guidata dal bisnonno Abdullah I°), e soprattutto nel 1948 e nel 1967, l’esercito è fonte di orgoglio nazionale, perché è l’unico esercito arabo ad essersi sempre battuto con determinazione e spesso con eroismo (riconosciuto dagli avversari) con Israele, così come contro il tentativo golpista tentato dall’Olp di Yasser Arafat nel 1970 voleva impadronirsi del governo di Amman che provocò il “Settembre Nero”.
Marouf Bakhit, peraltro, è anche l’ex ambasciatore giordano in Israele e in Turchia, due paesi chiave (anche se le relazioni con Gerusalemme, eccellenti dopo la forma del trattato di pace del 1993, si sono molto deteriorate negli ultimi anni), per sviluppare la strategia che re Abdullah indicò nel Economic World Forum di Amman del 2003, quando chiese ai grandi gruppi finanziari israeliani di investire in Giordania e Iraq, nell’ottica della formazione di una macroregione dalle economie integrate che comprenda Turchia Israele e i paesi arabi.
E’interessante notare che anche in Giordania i Fratelli Musulmani non sono stati i promotori delle manifestazioni di protesta, tanto che un loro leader, Zaki ben Rsheid, dirigente del Fai (Fronte d’azione islamico), ha fatto sapere ieri che l’organizzazione non ha ancora deciso se prender parte alle manifestazioni, ma ha invitato il governo al dialogo con la piazza. Questo, in un paese in cui la Fratellanza (il cui partito è il Fai) è da sempre legale e partecipa alle elezioni (nel 1991 entrò a far parte dell’esecutivo), raccogliendo però al massimo un 18-20% dei suffragi.
Un dato indicativo – anche se non risolutivo – per chi teme che in caso di libere elezioni in altri paesi islamici come l’Egitto, i Fratelli Musulmani possano vincere. Va detto che in Giordania, grazie alla politica lungimirante iniziata da re Hussein, padre di re Abdullah, (paese in cui il 40% dei 6 milioni di abitanti è palestinese perché è l’unico che concede la cittadinanza), i Fratelli Musulmani sono profondamente divisi. L’ala “dura” fa riferimento ad Hamas (secione palestinese della Fratellanza) ed è capeggiata da Abil Abul Sukkar, che nel congresso del Fai della primavera scorsa ha conquistato la maggioranza. Ma è molto forte, anche se minoritaria, anche una componente moderata della Fratellanza che non riconosce la leadership di Abil Sukkar e che potremmo definire, per dare un’idea, di marca “democristiana”.
E’ infatti composta da notabili radicati sul territorio (anche molti palestinesi profughi da decenni dai Territori), che la monarchia hashemita ha coinvolto sia nella gestione delle amministrazioni locali, sia nei progetti economici (a iniziare dagli appalti pubblici).
(tratto da Il Foglio)