No, non siamo ancora “Immuni” dal politicamente corretto

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No, non siamo ancora “Immuni” dal politicamente corretto

No, non siamo ancora “Immuni” dal politicamente corretto

04 Giugno 2020

Dopo tanto tuonare infine piovve. La app Immuni, concepita per supportare il tracciamento dell’epidemia di Covid-19, dal 1 giugno funziona sperimentalmente in quattro regioni, ma tutti la possono già scaricare su iPhone e Android.

La genesi è stata più difficile di quanto annunciato, ed è stata accompagnata da molte discussioni sulla privacy e sul possibile uso scorretto dei dati. Per questo alla fine è stata adottata una soluzione basata sul Bluetooth e non sul GPS e – si assicura – il tracciamento avverrà mediante codici temporanei che non permetteranno l’implementazione di un archivio permanente basato sull’identità delle persone.

Non avendo titolo per esprimermi su questi aspetti, credo che tutti alla fin fine ci dobbiamo fidare degli esperti di informatica e di sicurezza dei dati: vediamo cosa diranno nei prossimi giorni.

Ma c’è almeno un altro punto problematico: si paventa da più parti (e ci sta dentro anche Riccardo Luna di Repubblica, pur rassicurante sul lato privacy e sul lato del possibile conferimento dei dati ad estranei, non ultimo il governo cinese) che “Se la app, come pare, non darà diritto al tampone ma sarà soltanto un invito all’autoisolamento, la semplice notifica di una esposizione rischia di mettere in quarantena interi esercizi commerciali come bar e ristoranti o palestre in caso di un cliente che scopra di essere positivo. E’ un aspetto che va chiarito in fretta per il successo dell’intera operazione”.

Un problemino non da poco: se per chiunque di noi sarebbe un bel fastidio andare in quarantena magari perché a un semaforo, anche a finestrini chiusi, ci si è affiancato per un tempo sufficiente un soggetto che poi risulta contagiato, nel caso degli esercizi commerciali la faccenda diventa addirittura drammatica. Forse questo punto si potrà chiarire meglio, o forse no, considerando come è andata finora la vicenda dei tamponi. In ogni caso, sull’adozione di Immuni girano domande e problematiche di un certo peso.

Basta così? Ma proprio per niente, e difatti via via che scorre la giornata, mentre si apprende che mezzo milione di persone l’ha già scaricata, spunta il vero tormentone: Immuni ahimè è accompagnata da una vignetta in cui si vede una donna con un bambino in braccio, mentre sul suo davanzale c’è una piantina verde; alla finestra accanto appare un uomo tutto intento a fare l’uomo del XXI secolo: non si prepara alla caccia come i suoi antenati del Paleolitico, ma armeggia con la tastiera di un computer. Una raffigurazione stereotipata e poco rappresentativa della società attuale? Certamente, ma in un baleno si trasforma in una questione di suprema importanza, per l’immediata e fortissima reazione delle campionesse della parità, in primis dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini (alla quale spetta come sempre il titolo di Creso al contrario, tanto le sue prese di posizione rendono inviso all’opinione pubblica moderata e di destra quello che lei sostiene, quasi a prescindere dal merito: infatti sui social si moltiplicano gli ostili ad Immuni che dichiarano di volerla quasi quasi scaricare per spirito di contraddizione). Oltretutto si ha l’impressione che queste battaglie siano anch’esse un po’ datate e soprattutto, con i toni sempre retorici e ultimativi con cui sono espresse, lontane dalla matura consapevolezza delle donne sul loro lavoro e sulle loro difficoltà di conciliarlo col resto della vita: insomma una specie di altra faccia dello stereotipo.

Finalmente in serata tanta gagliarda combattività produce il risultato atteso: in una nuova vignetta il bambino viene trasferito dal padre, la mamma si mette a lavorare al computer. Dunque, mentre le problematiche relative alla app e al suo funzionamento passano malauguratamente in secondo piano, l’Italia delle pari opportunità è salva. Almeno per il momento, giacché domani potrebbe giustamente nascere un fronte più avanzato: in fondo questa famiglia-tipo composta di papà mamma e bimbo, anche con qualche aggiustamento sui ruoli stereotipati, non è pur sempre un modello offensivo per le famiglie omogenitoriali?

E poi, nei festeggiamenti generali per l’equa redistribuzione delle attività familiari in vignetta, nessuno ma proprio nessuno ha notato che la piantina resta sempre in carico a mammà? Alla faccia della parità totale.