Noi e loro: destra e sinistra esistono ancora
28 Gennaio 2017
Cari amici, la stagione della post-verità – tanto cara a quelli che non credono a niente se non al potere – vorrebbe abolire le categorie politiche di destra, sinistra, centro, per riportare tutto in un territorio indistinto dove varrebbe unicamente la forza dei leoni e l’astuzia delle volpi.
Non è vero. Non è così. E per comprenderlo è necessario saper guardare, insieme, avanti verso un mondo che sta cambiando e aggiorna l’agenda della politica mettendo al centro della scena temi e problemi che solo qualche anno fa sarebbero stati nel retrobottega, e indietro, dove risiedono principi antichi che il tempo non scalfisce.
C’è ancora chi, come noi, crede nella libertà della persona che trova un limite nella sua responsabilità e chi, come loro, vorrebbe sancire per diritto l’egoismo dell’individuo.
C’è ancora chi, come noi, si sente naturalmente dalla parte di chi è debole perché deve ancora nascere, crescere, affermarsi nella vita e chi, come loro, vorrebbe rafforzare i diritti di è già nato, di chi è già arrivato.
C’è ancora chi, come noi, ritiene che la comunità sia un arricchimento per la persona e per la società e che la partecipazione si realizza attraverso una paziente tessitura di corpi intermedi e chi, come loro, crede nel cambiamento dall’alto realizzando nei fatti un centralismo soffocante.
C’è ancora chi, come noi, difende la libertà di intraprendere e, perché l’ha sempre difesa, sa che ciò non ha nulla a che fare con la libertà di sfruttare il lavoro e chi, come loro, inconsapevolmente scivola verso il “liberismo selvaggio” in nome dell’acritica difesa della libera concorrenza internazionale.
C’è chi, come noi, ritiene che la democrazia si fondi su una necessaria coesione nazionale all’interno della quale a decidere è il popolo sovrano e chi, come loro, non ha remore a dissipare l’unità nazionale per concedere al cerchio magico di turno più potere.
Certo: nel centro-destra vi sono idee, stili, sensibilità differenti. Non è un male. Quel che certamente abbiamo in comune sono i nostri avversari politici.
Quelli che considerano un diritto e un progresso negare l’identità a una persona e, per questo, giustificano gli abomini della teoria gender e dell’utero in affitto.
Quelli che sono acriticamente dalla parte della globalizzazione come sono stati acriticamente dalla parte delle primavere arabe. E, così facendo, hanno fin qui nascosto persino a se stessi la sfida neo-totalitaria del terrorismo islamico e finiscono per difendere chi sfrutta deboli e indifesi.
Quelli che, all’ombra di un campanile o di una cooperativa, non hanno avuto remore a far profitto sul dramma dell’immigrazione.
Quelli che non hanno cultura, fantasia e cuore necessari per mettere in connessione il sogno dell’Europa dei nostri padri con l’opposizione a un’Europa di burocrati, ragionieri, approfittatori.
Questi nostri avversari sono al governo. Renzi ha provato a coprire il nuovo esecutivo con il mantello di Harry Potter e prova ad utilizzare la buona educazione di Gentiloni per rendere più sopportabile l’arroganza del suo potere. In realtà, uomini, metodi e stili sono determinati da lui e non sono cambiati.
Questo governo serve la sinistra ma non serve all’Italia. Per mandarlo a casa, oltre all’opposizione nei suoi confronti, dobbiamo essere in grado di presentarci agli italiani con un programma comune che faccia rinascere nella gente la speranza che questo Paese possa essere governato nell’interesse del popolo e non di una élite.
Questo programma dovrà essere progressista nel sociale. Perché dovrà innanzi tutto tener conto di chi è più debole e non ce la fa, contro privilegi, rendite, consorterie. Checco Zalone in “Quo vado” ha sottolineato quanto sia radicata la ricerca del “posto fisso”. C’è però un “posto fisso” esistenziale ben più pericoloso di quello lavorativo. E’ quello di chi si sente arrivato, élite, establishement. Non è più disposto a mettersi in gioco e, così facendo, finisce per confondere il proprio benessere con il bene comune.
Dovrà essere liberale in economia. Per la difesa del mercato che è concorrenza regolata, contro la globalizzazione selvaggia che non si ferma neppure di fronte allo sfruttamento di donne e bambini. Dovrà essere conservatore nei costumi. Per il ripristino delle buone pratiche, iniziando dall’onestà e dalla buona educazione. E poi per la valorizzazione delle tradizioni e la strenua difesa della natura umana contro la costruzione di ogni tipo di “uomo nuovo”.
Non sarà un lavoro facile ma, iniziandolo, dobbiamo ricordarci che quel che ci unisce è più forte di quel che ci divide.
In altri Paesi le destre sono state divise dalla storia, da un passato che non passa e continua a pesare come macigno. In Italia le destre sono unite dall’aver governato insieme, in un momento che non a caso ha segnato una svolta della storia repubblicana. Sono unite dal continuare a governare insieme paesi, città, regioni. Sono unite dall’aver creato una classe dirigente di amministratori, sul territorio, la cui ascesa nazionale è stata impedita da una legge elettorale che ha mortificato il merito e il consenso. Se ne sono accorti persino eminenti leader della sinistra, sarebbe paradossale che ce lo scordassimo noi. Non è tutto ma è abbastanza. Per andare avanti, per dare al più presto a noi un programma e all’Italia delle regole che ci consentano al più presto di vincere e di tornare a governare.
(Il testo dell’intervento tenuto oggi, sabato 28 gennaio, dal presidente di IDEA, Gaetano Quagliariello, nel corso della manifestazione “Noi ci siamo, Italia Sovrana”, insieme agli altri partiti di centrodestra, a Roma).