Noi siamo contro la pena di morte a Hosni Mubarak

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Noi siamo contro la pena di morte a Hosni Mubarak

30 Maggio 2011

Il concetto di Crimine contro l’Umanità fu giuridicamente codificato l’8 agosto del 1945 dal tribunale militare di Norimberga. Notare la data: due giorni dopo l’atomica su Hiroshima e alla vigilia di quella su Nagasaki. Le forze del Bene avevano vinto la Seconda Guerra mondiale. Ma il Bene, su questa terra, non è mai assoluto; spesso è solo un male minore. Dunque dovrebbe essere molto cauto nel giudicare l’avversario, nel punire il reo, nel versare il sangue del vinto.

Questi sono stati i primi pensieri che si sono affacciati alla nostra coscienza, ormai un po’ stordita dal sovraccarico informativo, leggendo una notizia proveniente dall’Egitto, da quel Medio Oriente in subbuglio che fa meno audience di qualche mese fa. E lo farà ancora meno con l’estate che incombe e le parole crociate che ci aspettano sotto l’ombrellone. L’ex presidente dell’Egitto; come si chiamava? Dodici lettere. Hosni Mubarak. Già, il finto zio di Ruby Rubacuori.

Ebbene Mubarak si è dimesso in febbraio, dopo la rivolta che ha cercato inutilmente di sedare con la forza dell’esercito e non poco sangue. Si è poi rifugiato a Sharm-el-Sheik, risoluto a non prendere la via dell’esilio come altri dittatori spodestati. Arrestato in aprile per corruzione e appropriazione indebita, ha somatizzato con un paio di arresti cardiaci. Ora è prigioniero del nuovo governo egiziano, nel suo letto d’ospedale. E prigionieri sono anche la moglie e i figli.

L’ultima notizia, quella che ci ha fatto interrogare sui tribunali dei vincitori, è questa: l’ex presidente è stato rinviato a giudizio con l’accusa di “concorso in omicidio”. Omicidio degli 846 manifestanti, i “martiri di Piazza Tahrir” che hanno fronteggiato l’esercito durante i 18 giorni e le 18 notti di rivolta. La pena per una simile accusa è quella capitale: la  morte. In tanti la sperano, la chiedono, la invocano. Non si fidano del rais caduto in disgrazia che giura la sua innocenza, il suo esser stato all’oscuro dei proiettili sui civili. Sarà vero? Chi può dirlo con certezza? Ma i rivoltosi vincitori egiziani non vogliono porsi troppi dubbi, meglio suggellare il cambiamento con un sacrificio umano, con l’uccisione del capro espiatorio di trent’anni di stato di eccezione all’ombra della Sfinge.

Certo, se questo nuovo Egitto comincia la sua avventura con l’omicidio del vecchio re, come accadeva nelle civiltà arcaiche, non c’è troppo da fidarsi. Aspettavamo la democrazia, o qualcosa che le somigliasse, più sul piano dei rispetto dei diritti umani che sull’ascolto della vox populi sempre forcaiola (e figuriamo poi quando non ha tutti i torti).    

E allora diciamo subito, la condanna a morte di Mubarak non vorremmo vederla. Non perché siamo di principio ed assolutamente contrari alla morte data dallo Stato, a questo tensione irrisolta alla giustizia (che come è noto, non è di questo mondo). Paradossalmente la comprendiamo per punire un singolo omicida efferato ed imperdonabile, ma nutriamo molti dubbi sulla suo ruolo di giudice della storia, di festa d’inaugurazione per il nuovo regime che avanza.

Si indaghi, si processi, si faccia chiarezza sulle responsabilità. Se Mubark è colpevole, il fatto sia urlato a tutto il mondo. E il vecchio trascorra gli ultimi giorni malati privato delle libertà civili e di quella di movimento. Possibilmente meditando sui suoi misfatti. Ma un altro patibolo, no. Non l’avremmo augurato nemmeno a Bin Laden, che meritava forse un processo e l’ignominia planetaria piuttosto che la morte in battaglia come un martire anti-crociato. Nemmeno la auguriamo al boia Mladic, uno che deve essere messo al cospetto di tutti i demoni che ha evocato con le sue dannate imprese, prima di andare all’altro mondo. Ci sono destini peggiori di una morte violenta.

Soprattutto non la auguriamo a Mubark, o meglio non la auguriamo all’Egitto. La mente ci corre alle immagini del dicembre 2006, all’esecuzione di Saddam Hussein. Ricordiamo le grida fanatiche che inneggiavano il leader scita Muqtadà al-Sadr mentre la canaglia che aveva imperato sull’Iraq pendeva dalla forca. Quel urlo di guerra di una delle tante fazioni in lotta per il controllo del paese non ci sembrò di buon auspicio per il futuro. Così non sembrava nemmeno a Bush, ai conquistatori americani che avevano consegnato Hussein al nuovo governo, nonostante fossero contrari ad una condanna così estrema. Chissà, forse a Bush venne in mente l’8 agosto 1945, il giorno in cui il concetto di Crimine contro l’Umanità venne codificato giuridicamente.   

 

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