Nolte critica la dittatura del liberalismo ma il suo è solo antiamericanismo
13 Marzo 2009
Ci sono opere in cui il termine “tecnica” è scritto con la maiuscola: Tecnica. “Tecnica” è quell’insieme di pratiche che mirano a risolvere problemi pratici finendo spesso per crearne di nuovi: la filosofia del Novecento, però, ne ha fatto un’entità metafisica (per motivi che non staremo qui a indagare). In genere i libri che parlano della Tecnica con la maiuscola si articolano nel seguente modo: la Tecnica è il destino della modernità, la modernità non è affatto buona, dobbiamo limitare, rifiutare, fuggire la modernità e con essa la Tecnica. Così Emanuele Severino o Umberto Galimberti, ad esempio. Il più influente filosofo legato a questo modo di guardare alle tecniche e alle tecnologie che fanno funzionare il mondo in cui viviamo è Martin Heidegger. Era un tema a cui teneva moltissimo: tanto da non perdonare la sua allieva (e molto di più) Hannah Arendt quando interpretò la tecnica in modo assai diverso dal suo in “Vita activa”. In particolare, Heidegger fece ricorso alla tecnica per spiegare la sua adesione iniziale al nazismo: nell’intervista “Ormai nemmeno un Dio ci può salvare” (1956) spiegò che il nazismo, insieme al comunismo, gli era parso l’unico regime politico capace di essere all’altezza di quel fenomeno planetario che era la tecnica.
E’ stata pubblicata da Le Lettere l’intervista realizzata da Luigi Iannone a Ernst Nolte sulla quale abbiamo letto la bella recensione di Beppe Benvenuto: l’importanza del personaggio e del testo invitano a una ulteriore discussione. Lo storico tedesco espone e riprende la tesi su esposta. La fama di Nolte nel nostro Paese è notevole, anche se oscurata dal pregiudizio ideologico: passa infatti per essere un revisionista. Appare sospetta la sua interpretazione che vede nel nazismo una risposta al bolscevismo, come se la responsabilità del primo venisse spostata sul secondo. Non sono piaciute le sue polemiche con gli storici tedeschi che sostengono tesi differenti: ha messo eccessivamente il dito nella piaga. L’opposizione alla tesi che vuole il nazismo il male assoluto nella storia gli ha valso la nomea non proprio di negazionista, ma poco ci manca. Tanto che alcune opere che riguardano le teorie del totalitarismo non lo menzionano neppure.
Il suo libro migliore resta a nostro parere “I tre volti del fascismo”, pubblicato in anni ormai lontani e purtroppo mai ripubblicato in italiano: si trattava di un eccellente esempio di storia delle idee politiche che affrontava il retroterra culturale nel quale nascono i fascismi europei. Giustamente, Nolte prendeva come esempi significativi quello italiano, quello tedesco e quello francese, e notava come, malgrado in Francia si fosse avuto un regime autoritario solo in piccola misura e per un breve periodo (Vichy), vi era proliferata negli anni precedenti una ideologia riconducibile al fascismo, alla destra, all’autoritarismo, un’ideologia ampia ed elaborata, teoreticamente alta, molto diffusa fra gli intellettuali. E’ la tesi che avrebbe ripreso, anch’egli finendo per sollevare contro la sua opera di storico delle ideologie contemporanee tutta la storiografia benpensante della Francia, lo storico israeliano Zeev Sternhell.
Ora torniamo alla tecnica, anzi, alla Tecnica. Devo dire che un po’ stupisce questa presenza nelle pagine di Nolte. Infatti, affermare che la tecnica rappresenta un convitato costante, imponente e sempre più pervasivo nella vita degli esseri umani e del pianeta, è un fatto, una constatazione. Ma fare delle tecnologie, degli espedienti che utilizziamo per controllare l’ambiente e sfruttarlo, per risolvere i problemi che incontriamo nella vita di tutti i giorni, altrettante entità metafisiche è un altro paio di maniche. Fare della Tecnica qualcosa di unico e invariabile, senza alcuna attenzione al modo in cui la tecnica si comporta e muta, è assai diverso. Fare della Tecnica una attività demiurgica che può creare qualunque cosa dal nulla, che può trasformare, distruggere, generare, facendo a suo piacimento il bene e il male, trasformandosi nelle mani di chi crede di usarla in un padrone dispotico, ecco, questo è tutt’altra cosa. E’ esattamente quella posizione heideggeriana (condivisa da gran parte della filosofia contemporanea) che ricordavo all’inizio.
Il lettore si chiede a che cosa serve questa presenza della Tecnica nel discorso di Nolte. Dello storico Nolte. Storico, per quanto nutrito di filosofia e letteratura e cultura prima di tutto tedesca. Credo che faccia della sua interpretazione del nazismo, interessante e stimolante, una tesi filosofica, e in quanto tale astratta e staccata dalla storia, non più legata al significato e alla dinamica del nazismo, del comunismo, dei totalitarismi europei, ma piuttosto a una convinzione, un’idea, una tesi ontologica.
Si tratta oltretutto di una tesi molto discutibile. Vorrebbe sostenere, sulla scia del torbido Martin, che la cifra della modernità è la Tecnica, che nazismo e comunismo si sono trovati di fronte ai problemi della modernità (la guida dell’economia da parte della politica, le masse ovunque, la nascita della cultura di massa), che entrambi li hanno risolti in modo totalitario e tecnico. Entrambi vedevano nella modernità una grande sfida, intravedevano con chiarezza le condizioni e i problemi nuovi con cui si doveva confrontare la politica, e a tutto questo danno una risposta forte, terribile, parallela. Entrambi vedevano nella modernità grandezza e miseria: grandi possibilità materiali e spaventosa carenza di valori, vedevano masse che seguivano il loro benessere e si divertivano, si chiedevano come la politica potesse motivare queste masse, e interpretavano la modernità come qualcosa che dovesse essere assunto completamente dala politica ma portato a un livello superiore.
Di per sé, la modernità era solo una democratizzazione del benessere, una vita americana per tutti (come dicevano con disprezzo), una serie di possibilità smisuratamente ampliate dalle tecnologie: contro tutto questo, il nazismo doveva nutrire i mezzi nuovi con ideali arcaici e forti, con valori sanguigni e sanguinosi, con regole guerriere. Modernissimo e antimoderno al tempo stesso: così risulta essere il nazismo. Discorso diverso però dovrebbe essere fatto per il comunismo: l’idea heideggeriana che entrambi fossero all’altezza della Tecnica accenna ma non spiega granché su questo secondo tipo di regime.
La domanda che si fa il lettore a questo punto è la seguente: chi sostiene questa tesi (Nolte sulla scia di Heidegger) dovrebbe spiegare che cosa pensa della soluzione democratica e liberale di tale confronto con la modernità e con la Tecnica: la via che è stata seguita da molti paesi, e soprattutto dagli Stati Uniti d’America. Perché in quel Paese fu possibile percorrere il confronto con la modernità, la Tecnica, le masse e la cultura di massa senza Fürherprinzip, razzismo e campi di concentramento? E Nolte risponde, come vedremo.
Un punto su cui è difficile dargli torto è la questione del nazismo considerato come male assoluto. Questa interpretazione, accettata largamente in Germania e altrove, ha un paio di corollari importanti: la non comparabilità del nazismo con altri fenomeni e la non derivabilità del nazismo (fenomeno patologico) da altri fenomeni, eventi, culture, considerati invece normali. In che modo, infatti, è nato il nazismo? Sulla questione gli storici, gli storici del pensiero politico, gli storici della cultura, si sono molto interrogati. Qualcuno ha cercato altri fenomeni patologici in nuce presenti nella cultura tedesca (ad esempio e sopra tutti il razzismo); altri invece hanno tentato di ricostruire il complesso della cultura precedente, e così di mostrare il modo in cui una serie di spunti, ideologie, temi, del tutto “normali”, una volta combinati fra loro e immessi nella situazione politica adatta, si siano trasformati in un miscuglio incendiario dalla potenza micidiale. Nolte si è interrogato esattamente su questo problema. La sua risposta è stata, sulla questione della comparabilità, che il nazismo poteva e doveva essere considerato una risposta al bolscevismo, e quindi paragonato prima di tutto a esso. Sulla questione delle origini, ha risposto che il nazismo deriva da una serie di elementi culturali e ideologici presenti anche altrove in Europa e nel mondo in quella stessa epoca, cioè che il “patologico” deriva dal “normale”.
Dalla lettura di questa intervista risulta il contrario di quanto viene sostenuto generalmente su Nolte. Lo storico tedesco è sì un conservatore, e finanche un reazionario antimoderno, ma non per le sue tesi sul nazismo: in quelle non è contenuto nessun tentativo di riabilitarlo, scusarlo, sminuirlo. Quello che cerca di dare è solo una interpretazione: la sua. E’ conservatore, e molto, invece, ciò che Nolte pensa della Modernità e della Tecnica, spirito che la muove, dell’America contrapposta all’Europa, del liberalismo, della secolarizzazione, del progresso e del senso della storia.
E’ molto forte il suo antiamericanismo, secondo il quale l’America incarna una civiltà semplicistica e uniforme, verso la quale l’Europa, organismo complesso dalla lunga storia alle spalle, deve necessariamente contrapporsi ed esercitare la sua critica: l’America vuole imporre al mondo il dominio del dollaro e la libertà agli altri popoli con la forza. Nel culto delle radici spirituali dell’Europa, nella critica alla globalizzazione, nell’avversione a una Europa che annulla le nazioni, nella convinzione che là dove si perde la trascendenza (come nella secolarizzazione) inizia la “società dei supermercati”, nella indicazione del denaro come il sovrano dei nostri tempi, nel rifiuto del mercato come regolatore dei rapporti, nell’avversione alla modernità, nell’opposizione a vedere nel progresso la direzione secondo la quale si svolge la storia, Nolte mostra le sue convinzioni, più tipiche del conservatore (o addirittura del reazionario) che del liberale.
E che sia lontano dal liberalismo è mostrato dalla sua tesi sul liberalismo, davvero sconcertante. Chiede l’intervistatore: “Di fronte a tutto ciò non Le sembra allora che anche il liberalismo rischi di diventare una dottrina di carattere dogmatico?” Nolte risponde: “Lo è già. In larghissima parte la concezione di democrazia nell’Occidente era sempre connessa con il liberalismo. Temo invece che un giorno potrà esistere un continente pieno di libertà individuali ma non meno dogmatico e forse anche totalitario dove il dogma liberale non potrà più essere contestato. Potrebbe nascere in Europa ma contro la stessa storia europea.” E’ una contraddizione in termini: in che cosa consisterebbe infatti il “dogma liberale”? Nell’imposizione a ognuno di essere libero senza danneggiare la libertà altrui? Ma, come sappiamo, la libertà liberale implica in modo non accessorio la possibilità di pensare, esprimere e mettere in pratica le proprie idee, e le proprie idee – sempre nella concezione liberale – si formano nel soggetto in modo autonomo, evitando che egli soggiaccia a un comando.
La situazione di illibertà liberale che Nolte descrive è dunque in contraddizione con ciò che il liberalismo (in una qualunque delle definizioni che si possono utilizzare) è. Coloro che denunciano il pericolo di una dittatura liberale hanno evidentemente le loro ragioni, che non discuteremo: dove sbagliano è nel chiamare quel sistema di illibertà “liberale”. Ma proprio in ciò sta la loro critica che si vuole (o vorrebbe) demolitiva rispetto a un certo modo di essere attuale nel quale non si riconoscono.
Le affermazioni sulla tecnica sono quelle che si spingono più avanti in questo conservatorismo, antimodernismo, antisecolarismo. Scrive Nolte: “Quanto più grande è lo sviluppo della ‘trascendenza pratica’ (del mondo tecnico) tanto più grande è la seduzione di dimenticare la ‘trascendenza teoretica’ che è la precondizione di tutte le tecniche.” L’America è il Paese che è andato più avanti nella direzione di una Tecnica così intesa.
Antiamericanismo, antiliberalismo e concezione metafisica della Tecnica si danno la mano, come spesso è accaduto. Lo storico lascia il posto al filosofo. Purtroppo.