Nolte è uno storico scomodo perché racconta le cose come stanno

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Nolte è uno storico scomodo perché racconta le cose come stanno

07 Dicembre 2008

 

Uno studioso contestatissimo, oltre gli anta, in una velocissima sintesi si mette a fuoco e ragiona su alcuni dei temi più controversi degli anni a venire. Lo studioso in questione si chiama Ernst Nolte, è un celeberrimo docente di contemporaneistica in Germania, scrittore di numerosi libri che ne hanno fatto uno dei capofila del cosiddetto revisionismo storiografico. In particolare, a menar scandalo, è stata la sua tesi “sul nesso casuale tra bolscevismo e nazismo”. Nolte in più occasioni ha sostenuto infatti che l’hitlerismo “nacque e giunse al potere, per una molteplicità di fattori, ma soprattutto grazie all’antibolscevismo”. Per capirci, l’“assassinio di classe” sarebbe da considerare una sorta di precedente logico dell’“assassinio di razza”. Ecco: questo controverso e insieme autorevolissimo narratore del Novecento, in una conversazione distesa e problematica, ma soprattutto di rapida e diretta comprensione, discorre del suo lavoro e delle sue idee, con Luigi Iannone. Il librino che pubblica il dialogo s’intitola “Storia, Europa e modernità”ed è appena pubblicato per i tipi de Le Lettere di Firenze.

A proposito della sua tesi più celebre, è chiarissimo, quasi telegrafico: nella“tesi” si affermava “che fra il primo bolscevismo del 1917-1918 e il nazionalsocialismo c’era un nesso causale, soprattutto riguardo al fatto che i bolscevichi nella loro battaglia per la presa e la conservazione del potere e per la vittoria e la supremazia delle loro idee, avevano prodotto un terrore senza eguali nelle menti di molta gente dell’Occidente e specialmente nella mente di Hitler”. Nessuna giustificazione dei nazisti, come invece sembrò al francofortese Habermas, capofila di tutti i critici, ma “semplicemente un tentativo di comprensione del fenomeno”. A Nolte, lo ribadisce a più riprese, non piacciono i sostenitori, a proposito della dittatura tedesca, del tesi del “male assoluto”. Nessuna “istituzione umana”, osserva, “ può essere definita assoluta, vista tutta la complessità e le relazioni che compongono la realtà umana. Questa contrapposizione manicheistica era (ed è) il contenuto principale di quella ideologia che chiamiamo politically correct”.

Identica spregiudicatezza lo studioso tedesco adotta nel giudicare il presente. Piuttosto critico verso gli Stati Uniti la cui concezione politica giudica “semplicistica” e “ottimistica”. Problematico, in forma però costruttiva, verso il Vecchio Continente e le sue molteplici identità: “Una realtà fondata su contrapposizioni che non sono autodistruttive e che possono arricchirsi vicendevolmente”. Meno ottimista sull’ipotesi di Stato mondiale: “… una possibilità, ma ai miei occhi non una possibilità desiderabile. L’uomo trascende gli ambienti particolari ma non dovrebbe trascendere i limiti ultimi che sono le grandi culture e, forse, le nazioni. L’uomo senza limiti non è più uomo”. Scettico anche sulla comune patria europea, soprattutto se confrontata con gli esiti Nordamericani: “L’America è diventata un popolo non senza combattimento. La prima costituzione era una costituzione federale in cui i membri degli Stati avevano la voce decisiva e solo successivamente nacque l’idea che tutti gli americani fossero un popolo. Quindi non fu un’idea originaria ma sviluppata nel tempo e in maniera progressiva. La situazione in Europa non è ancora in questi termini perché è difficile dire se le nazioni europee abbiano davvero l’intenzione di evolversi fino al punto di accettare di diventare province di una unità superiore chiamata Europa: E poi non so nemmeno se questa cosa sia davvero auspicabile”.

Ernst Nolte, “Storia, Europa e modernità”, Le Lettere, pagine 80, euro 8,50.