Nomine Rai, il Cda chiude il cerchio e l’opposizione gioca al “finto ingenuo”
20 Maggio 2009
Augusto Minzolini alla guida del Tg1, Mauro Mazza direttore di Rai Uno, Giancarlo Leone, Antonio Marano, Gianfranco Comanducci e Lorenza Lei vicedirettori generali. Il pomeriggio di nomine nel Cda di Viale Mazzini ha seguito un copione preciso, comprensivo anche di autoallontanamento per protesta dei tre consiglieri di minoranza e profondo disdoro da parte dell’opposizione.
Ma perché fingere di scandalizzarsi? Perché giocare ritualmente a fare i falsi ingenui? La lottizzazione in Rai c’è e si vede benissimo. L’elenco di nomi proposto dal direttore generale, Mauro Masi, e accettato di buon grado dalla maggioranza del Cda lo dimostra una volta ancora, ma non salva di certo la verginità di chi grida allo scandalo oggi, mentre ieri dalla stanza dei bottoni ha applicato con puntiglio le stesse regole dello spoils system e del manuale Cencelli.
Il sogno di una Rai sganciata dai partiti e libera dai legami con l’esecutivo vede sempre tutti d’accordo in astratto, ma non ha trovato ancora una formula che lo possa far realizzare in concreto.
Non c’è riuscita la legge Gasparri con il suo timido abbozzo di percorso verso una privatizzazione ancora lungi dall’arrivare, né ce l’ha fatta l’abortita legge Gentiloni, che ipotizzava la creazione di un’inquietante fondazione che facesse da cuscinetto tra la politica e l’azienda. E così, tutto sommato, la lottizzazione è trasversalmente accettata in quanto meccanismo di garanzia, tenendo conto della regola non scritta che assegna Rai Tre al centrosinistra, Rai Due (eccetto Santoro) al centrodestra e Rai Uno al governo.
La stortura in tutto questo deriva dalla proprietà di Mediaset, che fa sì che nelle legislature governate dalla sinistra la tv generalista sia in qualche modo variamente distribuita, mentre in quelle governate da Berlusconi i centri di potere catodico tendano a concentrarsi. Uno schema che, una volta sdoganata definitivamente Sky e in vista dell’imminente allargamento dell’offerta televisiva digitale terrestre, tende però ad essere meno rigido e ad attenuare le conseguenze pratiche nei confronti dei teleutenti.
Dunque, visto che lottizzazione è sempre stata e lottizzazione sarà sicuramente nel futuro prossimo, tanto vale augurarsi che si lottizzi avvalendosi di professionisti capaci di far compiere passi avanti alla Rai-Servizio Pubblico. In questo caso, se la folla di vicedirettori generali ricorda un po’ l’esercito dei sottosegretari dell’ultimo governo Prodi, altre scelte sembrano rispondere meno a bieche logiche di assegnazione di poltrone.
La designazione di Augusto Minzolini alla guida del Tg1, ad esempio, è interessante, vista l’autorevolezza bipartisan di cui generalmente godono i suoi acuti pezzi sulla Stampa. Un parere evidentemente non condiviso da Curzio Maltese, che in piena coerenza con il nuovo approccio battagliero, quasi feltriano, del suo giornale, attacca frontalmente il collega dalla prima pagina di Repubblica parlando di “splendidi esempi di reportage nordcoreano” a proposito degli articoli di Minzolini sul premier e versa bile sulla pretesa occupazione dell’ammiraglia Rai da parte delle truppe del Cavaliere. Di “occupazione” qualche settimana fa aveva parlato, probabilmente a sproposito, Marcello Dell’Utri, ma Minzolini non è Mimun, non è Rossella e non è nemmeno Vespa.
La domanda più corretta da porsi, semmai, è se una così brillante firma della carta stampata sia in grado di gestire e coordinare la più grande testata giornalistica televisiva italiana.
Di certo si sa che Minzolini è stato indicato direttamente da Berlusconi e che siederà sulla poltrona di direttore in una evidente logica di spoils system, ma chi è senza peccato lanci la prima pietra. Per intendersi, è la stessa identica logica, se si vuole aberrante, che pochi mesi fa ha portato da un giorno all’altro Paolo Garimberti dallo studiolo televisivo della web tv di Repubblica alla prestigiosa poltrona di presidente Rai. Allora non si gridò allo scandalo e non ci furono crociate moralizzatrici. Eppure era l’altra faccia della solita, usuratissima, medaglia.