Non c’è niente di buono nello stop al nucleare italiano

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Non c’è niente di buono nello stop al nucleare italiano

Fino al 11 Marzo 2011 il futuro della strategia energetica in Italia sembrava indirizzarsi verso una triade  – gas, rinnovabili, nucleare. Il gas naturale è la risorsa per default – in Italia come nel resto d’Europa. Le rinnovabili sono e saranno parte crescente del mix energetico come stabilito da obiettivi e target fissati a livello europeo. Il nucleare stava, anche se lentamente, rientrando nel novero delle tecnologie accettate  anche in Italia. Ministri ed esperti avevno indicato la formula ideale per il mix elettrico da raggiungere nei prossimi venti anni: 25-25-50, ovvero 25% da fonti rinnovabili, 25% da fonte nucleare e 50% da fonte fossile ossia gas naturale.

L’11 Marzo il terremoto e lo tsunami in Giappone hanno cambiato tutto. In vari passi e gradualmente il Governo Italiano ha fatto dietrofront e ha esteso una moratoria indefinita sul ritorno al nucleare. Non è la parola finale per fortuna, come ha più volte detto Romani, Ministro per lo Sviluppo Economico, ma è difficile ipotizzare un rilancio a breve termine, indipendentemente dal risultato del referendum del 12 giugno. Il 18 Maggio il governo inglese e qullo finlandese hanno pubblicato dei rapporti sull’incidente a Fukushima e l’impatto sul programma nucleare indigeno di Gran Bretagna e Finlandia. La conclusione del rapporto dell’ ‘Office for Nuclear Regulation’ (equivalente della neonata Agenzia Nucleare) afferma che non ci sono ragioni per ridurre l’operazione degli impianti nucleare in Gran Bretagna. In aggiunta afferma che non c’e’ nessuna necessita’ di cambiare le procedure di licenza degli impianti, la strategia per localizzare i siti o modificare la strategia per la costruzione di nuovi impianti. (Qui il rapporto completo).

Tale rapporto, come quello finlandese, è ben ricercato, ben sviluppato e presentato, dimostrando anche ad altri paesi quale è la miglior maniera per reagire ad un evento di tali proporzione: senza panico, senza esagerazioni e pensando al futuro benessere del paese in una maniera completo ed olistica. Infatti, se pensiamo al caso Italiano, per il momento, cosa è realmente cambiato dal 10 Marzo all’ 11 Marzo? I problemi energetici sono gli stessi; i problemi economici sono gli stessi; i benefici che il nucleare avrebbe portato sono gli stessi. Vero, la percezione dei rischi è cambiata, ma solo la percezione. In Italia, di centrali vecchie e a rischio non ce ne sono. Il ritorno al nucleare riguarderebbe nuove centrali – diverse da quelle convolte nella tragedia in Giappone.

Nonostante ciò, e prima ancora di avere un’idea chiara su cosa realmente è successo a Fukushima e di capire quail sono le implicazioni per la tecnologia nucleare, il panorama energetico-politico italiano è cambiato di colpo. E’ necessario quindi, in Italia, pensare ad una nuova strategia per i prossimi vent’anni: strategia senza nucleare, nella peggiore delle ipotesi, o nella migliore delle ipotesi, almeno una che lasci spazio al nucleare in un tempo futuro. Ad ogni modo nei prossimi dieci anni l’energia rinnovabile rimarrà l’ unica sorgente di energia pulita disponibile. Il problema quindi diventa uno di costi e rischi.

Secondo l’ENEA “il nucleare concorrerebbe a circa il 27% della riduzione complessiva delle emissioni di CO2 imputabile al parco di generazione elettrica nel periodo 2010-2050 e quasi al 10% del totale dell’abbattimento nello scenario di intervento” – i.e. scenario che permette di raggiungere gli obiettivi ambientali comunitari. Senza il nucleare tale contributo deve provenire da tecnologia CCS (impianti a combustibili fossile con sequestro e confinamento della CO2), la quale non è ancora in esercizio, o dalle rinnovabili. Il tutto ad un costo più alto (fino al doppio) del costo del nucleare. In aggiunta, l’impatto di un tale aumento delle rinnovabili sulla stabilità del sistema elettrico non è ancora chiaro.

Ambrosetti European House ha stimato che in uno scenario senza il nucleare i costi di produzione di elettricità sarebbero almeno 60 miliardi di Euro piu’ alti nel periodo 2020-2030 (circa 6 miliardi l’anno). Nel 2030 emissioni di CO2 sarebbero almeno 20% piu’ alte, mettendo a serio rischio l’obiettivo di ridurre emissioni di CO2 nel 2050 del 60% rispetto al 1990 (l’obiettivo informale dei paesi europei).
Tali costi e rischi non sono da sottovalutare. A sangue freddo e con un’adeguata, onesta e razionale riflessione la scelta sarebbe ovvia, o perlomeno, diventerebbe difficile rifiutare il nucleare a priori.

Purtroppo la situazione politica di oggi non permette una riflessione razionale. E quindi i giochi sono già fatti, prima ancora di comniciare. La speranza di un ripensamento esiste sempre, ma si fa più piccola. Speriamo almeno che i gli anti-nuclearisti e le persone che ora diffidano del nucleare a causa di Fukushima sappiano a cosa vanno incontro: un futuro piu’ costoso e non meno, se non addirittura piu’, rischioso.